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“Sto pensando di finirla qui” recensione film

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“Sto pensando di finirla qui” recensione film

“Sto pensando di finirla qui” recensione film

Disponibile su Netflix

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Regia: Charlie Kaufman
Cast: Toni Collette, Jesse Plemons, Jessie Buckley, David Thewlis, Jason Ralph, Colby Minifie, Abby Quinn, Guy Boyd
Genere: Drammatico, grottesco
Durata: 134 minuti
Voto: ♥♥♥ 1/2 (su 5)

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La trama

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Una giovane donna si mette in viaggio insieme al suo nuovo fidanzato Jake per per conoscere la famiglia del ragazzo. Nonostante il grande passo, i due non stanno insieme da molto e la ragazza è incerta sul loro rapporto. Nonostante il grande passo, i due non stanno insieme da molto e la ragazza è incerta sul loro rapporto. Quando arrivano nell’isolata fattoria di famiglia, una bufera costringe i due fidanzatini bloccati in casa insieme ai genitori di lui, che non si rivelano essere come lei si aspettava…

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Il nostro giudizio

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Ormai da decenni, Charlie Kaufman, uno degli artisti più ispirati che bazzicano Hollywood, mette in scena dei viaggi esistenziali profondi e spiazzanti. Inutile parlare di sceneggiatura con lui, perché più che raccontare lascia scorrere liberamente dei flussi di coscienza. Questi, piano piano, prendono il largo dopo aver rotto ogni fragile argine costruito dallo script, per addentrarsi, senza alcun freno, in ogni meandro dell’animo umano. Così, lo spettatore si ritrova perso in un labirinto di specchi, dove ad ogni anfratto si nascondono ansie esistenziali ed idee poco rassicuranti di inevitabili fallimenti. Probabilmente, l’intelligenza è la più grande nemica di Kaufman, perché le troppe domande che pone a sé stesso e agli altri lo hanno condannato ad un’infelicità di fondo, pronta ad emergere in ogni tappa della sua geniale filmografia.

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Stavolta, Kaufman è angosciato soltanto (si fa per dire) da una domanda: esiste vita al di fuori della nostra mente? Una risposta, il regista la fa dare al suo protagonista, Jake: “È bene ricordare a se stessi che il mondo è più grande di ciò che abbiamo in testa”. Tutto risolto, dunque? Ma nemmeno per sogno, perché questa frase è solo l’inizio di un viaggio nel quale il regista ci conduce nei meandri più cupi e inspiegabili dell’essere umano. “Sto pensando di finirla qui” è il suo film più disorientato e disorientante, dove è difficile prendere punti di riferimento ed usarli per comprenderne a fondo il significato.

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“Sto pensando di finirla qui” recensione film

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Già, perché un vero e proprio senso la pellicola non lo ha. Vuole essere, in sostanza, un road movie nei posti più gelidi della mente umana. “Sto pensando di finirla qui” comincia come un banalissimo film romantico, in cui una coppia fresca di formazione si mette in viaggio per far conoscere lei ai genitori di lui. Ma Kaufman utilizza i personaggi nati dalla penna Iain Reid e li conduce nel suo mondo nevrotico e li mette in fuga dalla realtà per trasportarli nella metafisica, in un mondo (simboleggiato da una fattoria) dove le loro esistenze saranno scomposte e ricomposte.

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Così, quando i due piccioncini troveranno, apparentemente, riparo dalla bufera in casa dei genitori di lui, nulla sarà come prima. Toni Collette e David Thewlis sono una madre ed un padre grotteschi, capaci di trasmettere un insopportabile senso di disagio agli spettatori in chiave tragicomica. Il regista si diverte nel ridere cinicamente di questo imbarazzo e, allo stesso tempo, confonde le carte e spariglia il banco mettendo in discussione tutto. Lo spettatore, in quelle quattro mura, perde completamente la bussola e si ritrova perso in un gioco dove non ci sono regole a cui appigliarsi. Il segreto è perdersi e lasciarsi trasportare, di nuovo, fuori, nel gelo che circonda i due protagonisti.

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“Sto pensando di finirla qui” chiede un grosso, enorme, quasi impraticabile sforzo a chi guarda: non porsi domande e, piuttosto, ascoltare e vedere per il solo piacere di farlo. Del resto, Kaufman, nei suoi film, non si è mai preso la briga di voler spiegare qualcosa. Semmai, preferisce elargire visite guidate nella sua mente. Una mente bellissima e complicata, capace persino di commuovere qualche visitatore piuttosto sensibile. Ma è una mente in cui nessuno, a pensarci bene, vorrebbe abitare.

Francesco G. Balzano

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“LA MIA VITA DA ZUCCHINA” RECENSIONE FILM

“Gli anni più belli” recensione film

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“Gli anni più belli” recensione film

“Gli anni più belli” recensione film

Disponibile su: Sky e Now Tv

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Regia: Gabriele Muccino
Cast: Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria, Nicoletta Romanoff, Emma Marrone, Francesco Centorame, Andrea Pittorino, Paola Sotgiu, Francesco Acquaroli, Elisa Visari
Genere: Drammatico
Durata: 129 minuti
Voto: ♥ 1/2

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La trama

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La loro amicizia dura da ben 40 anni, esattamente dal 1980 ad oggi, attraversando l’adolescenza fino all’età adulta. I tre uomini sono cresciuti insieme sin da giovanissimi per poi incontrare, durante gli anni del liceo, Gemma di cui Paolo s’innamora immediatamente. La piccola comitiva ha affrontato cose belle, come speranze e successi, e momenti brutti, dovuti a delusioni e fallimenti. Ma al racconto di amicizia e di amore si intreccia inevitabilmente quella che è stata la storia d’Italia e di conseguenza degli Italiani in questi ultimi decenni.

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Il nostro giudizio

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Sembra un concept album di Baglioni, non a caso citato tre volte, ma, in realtà “Gli anni più belli” è solo il solito, ripetitivo film di Gabriele Muccino. Nelle intenzioni del regista, probabilmente, la pellicola doveva essere un racconto fiume degli ultimi 40 anni di storia italiana, vista attraverso gli occhi dei quattro protagonisti. Il problema, però, è che la Storia scorre parallela ai personaggi, non li sfiora minimamente e offre, al più, i riferimenti temporali alla vicenda. Giulio, Paolo, Riccardo e Gemma, poi, sono figure senza spessore, non hanno caratteristiche interessanti e nemmeno storie così accattivanti alle spalle. Di conseguenza, il film scorre senza sussulti, con svolte sempre prevedibili e spesso insignificanti. Non manca, comunque, il marchio di fabbrica di Muccino, diventato ormai quasi un elemento parodistico.

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Il riferimento è, ovviamente, alla costante recitazione sopra le righe dei personaggi. Nelle idee del cineasta romano non c’è spazio mai (proprio mai!) per uno scambio di battute pacato. Ogni dialogo deve avvenire, rigorosamente, urlando e con ampio ricorso alla fisicità dell’alterco. La telecamera non sta mai ferma e si muove con la stessa isteria di chi viene immortalato. Insomma, Muccino propone sempre la medesima solfa e trova, immancabilmente, qualche amatore pronto a incensarne le opere. La verità, però, è che il regista non propone qualcosa di nuovo dal 2003, quando con “Ricordati di me” (film buono, ma di certo non memorabile) sublimò le tematiche già proposte nei precedenti “L’ultimo bacio” e “Come te nessuno mai”. Da allora c’è un grande vuoto creativo, celato in maniera maldestra da un timbro, sempre lo stesso, che ormai fatica a lasciare persino un minimo di segno.

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“Gli anni più belli” recensione film

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Alla sua filmografia manca terribilmente un qualcosa che innalzi l’aurea mediocritas sulla quale si appoggia da sempre, senza mai osare o tentare un guizzo. La sensazione, anzi ormai si può parlare tranquillamente di certezza, è che anche ne “Gli anni più belli” si raccontino sempre le stesse storie e le stesse dinamiche. L’infelicità gioca a nascondino con la depressione, il matrimonio è sempre infelice e i rapporti sociali sono sporchi di rancore vomitato e poi ripulito alla bene e meglio. Rispetto agli altri suoi film, poi, Muccino qui non può contare nemmeno su protagonisti in stato di grazia. Nonostante Favino, Rossi Stuart e Santamaria siano tra i migliori interpreti del nostro cinema, ne “Gli anni più belli” appaiono tutti poco convinti e coinvolti, quasi come se avessero azionato il pilota automatico. Quasi, insomma, come se fossero stanchi, assuefatti alla prevedibilità che sono chiamati a mettere in scena. Come dargli torto, del resto…

Francesco G. Balzano

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“AFTER 2” RECENSIONE FILM

“After 2” recensione film

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“After 2” recensione film

“After 2” recensione film

Distribuzione: 01distribution.it

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Regia: Roger Kumble
Cast: Josephine Langford, Hero Fiennes Tiffin, Dylan Sprouse, Louise Lombard, Charlie Weber, Candice King, Selma Blair, Rob Estes, Samuel Larsen, Pia Mia, Dylan Arnold
Genere: Drammatico, sentimentale
Durata: 105 minuti
Voto: ♥

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La trama

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Abbiamo lasciato Tessa e Hardin in riva al lago con quella romantica frase con cui lui le dichiarava il suo amore. In questo nuovo capitolo i due dovranno affrontare diverse sfide per tornare non uniti come prima, ma più di prima. Tessa suscita l’interesse di altri ragazzi, disposti a farle dimenticare Hardin, ma non soltanto la sua sfera sentimentale è un completo caos. Un improvviso ritorno, infatti, sconvolgerà la ragazza: qualcuno che non vedeva da tempo farà capolino nella sua vita, senza alcun preavviso. Hardin invece ha disperatamente bisogno di lei e, sebbene Tessa provi a perdonarlo, non sa ancora quali terribili segreti nasconde il passato del ragazzo…

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Il nostro giudizio

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“After 2” è una benedizione per gli esercenti cinematografici che, in un momento assai complicato, sono riusciti a staccare parecchi biglietti. Persino più dell’attesissimo (anche se deludente) “Tenet” di Christopher Nolan, per capirci. Allo stesso tempo, però, “After 2” è una maledizione per il cinema, inteso come settima arte. Se esistesse una scuola che insegna come non si fa un film, questa pellicola sarebbe una pietra miliare da far vedere e rivedere per mettere in guardia gli studenti. Il regista Roger Kumble (“Cruel Intentions” e “Cruel Intentions 2”) deve aver preso un colpo di sole, o aver avuto urgente bisogno di soldi, altrimenti non si spiega come possa esser caduto così in basso. Talmente tanto che, dopo aver toccato il fondo, ha cominciato a scavare ancora un po’.

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C’è da dire che, negli ultimi anni, siamo stati abituati davvero male e la situazione è andata peggiorando di pellicola in pellicola. In principio fu “Twilight”, poi iniziò la discesa vertiginosa con “50 sfumature di grigio” e ora affoghiamo nella melma grazie all’apparizione di due personaggi che definire squallidi equivale a complimentarsi. Si tratta, ovviamente, di Tessa e Hardin. Se nel primo film si limitavano ad essere due fessacchiotti di proporzioni cosmiche, in questo sequel si lasciano andare completamente all’idiozia. In tale, non facile, operazione sono molto aiutati da una sceneggiatura infarcita di battute grevissime, prive di vis comica e momenti di pseudo commozione che lasciano impassibili.

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“After 2” recensione film

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C’è, inoltre, un focus poco tecnico e molto filosofico da fare. Hardin è davvero uno dei pesonaggi più melmosi inventati nella storia del cinema. Risulta davvero impossibile capire come una ragazza possa rimanere attratta da questo Fonzie di periferia fuori tempo massimo e con evidenti problemi di alcolismo. Eppure è esattamente ciò che accade sia sul grande schermo, sia presso le giovani spettatrici che sono accorse in sala. La sceneggiatura gli attribuisce un pesante trauma infantile, per giustificare il suo comportamento sconsiderato e provare a far scattare nel pubblico un sentimento di compassione.

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Mossa azzardata, perché gente come lui non va compatita, ma seriamente e urgentemente aiutata. Qualsiasi persona dotata di un minimo di sale in zucca (non come Tessa, quindi) starebbe lontana un miglio da uno stalker e potenziale omicida come lui dopo due minuti di conoscenza. E’ ora di finirla, ad ogni modo: il cinema che si rivolge agli adolescenti deve smetterla di spacciare personaggi socialmente pericolosi per miti da emulare o di cui innamorarsi.

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A fare da contraltare ad Hardin troviamo Trevor, un insipido e occhialuto commercialista che, inspiegabilmente, decide di trasformarsi in uno zerbino per Tessa, che calpesta i suoi sentimenti senza ritegno. E lo usa solo per avere sontuose quanto poco probabili agevolazioni fiscali. Pure la protagonista suscita più di una perplessità. Perché è così facile innamorarsi di una ragazza carina, sì, ma simpatica ed affabile come la sabbia nelle mutande? Rimarrà uno dei tanti segreti non svelati di questa orripilante saga. Una saga che, almeno per quanto ruguarda il secondo capitolo, non ha altro da offrire se non una sequela interminabile di disgustosi amplessi tra i due protagonisti.

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Intervallati, brevemente, da dialoghi che hanno il nauseabondo olezzo del fiato alcolico di chi li recita e di chi li ha scritti. “After 2” è un’offesa a qualsiasi cosa vi venga in mente: dal cinema alle battaglie femministe, che pensavano di aver fatto enormi passi avanti negli anni prima di imbattersi in Tessa. Il film propone un’idea di amore malato e distorto, che assomiglia molto alla dipendenza da droghe pesanti e ne ricalca persino gli effetti collaterali. Concludiamo con una minaccia: la saga prevede almeno altri tre film e nulla fa immaginare che il livello andrà migliorando. Se state pensando che è proprio vero il detto ‘al peggio non c’è mai fine’, beh, avete ragione.

Francesco G. Balzano

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“THE NEW MUTANTS” FILM RECENSIONE (NO SPOILER)

“The New Mutants” film recensione (NO SPOILER)

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“The New Mutants” film recensione (NO SPOILER)

“The New Mutants” film recensione (NO SPOILER)

Distribuzione: 20th Century Studios

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Regia: Josh Boone
Cast: Anya Taylor-Joy, Maisie Williams, Charlie Heaton, Alice Braga, Blu Hunt, Henry Zaga, Adam Beach, Thomas Kee, Happy Anderson
Genere: Fantascienza, Azione, Horror
Durata: 94 minuti
Voto: ♥♥ 1/2 (su 5)

La trama

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The New Mutants si svolge tra le mura opprimenti dell’ospedale dove cinque mutanti adolescenti, provenienti da diverse parti del mondo, sono trattenuti contro la loro volontà. I giovani protagonisti uniscono le forze per sfuggire al passato e salvare se stessi dalle fatali controindicazioni delle abilità di cui sono dotati. Su di loro veglia Cecilia Reyes, una dottoressa con una dote alquanto particolare…

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Il nostro giudizio

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La produzione di questo film ha avuto una gestazione lunga e travagliata tanto che, purtroppo, i tagli imposti al budget ne intaccano nettamente la qualità. Un vero peccato, perché, nonostante l’evidente penuria di mezzi, il prodotto finale non è affatto da buttare. grazie soprattutto al sapiente mix tra tematiche orrorifiche ed adolescenziali. Ispirato alle serie tv dei primi anni 2000, a metà tra “Buffy l’ammazzavampiri” e “Dawson’s creek”, la pellicola mette in scena il timore di crescere. Tutto questo facendo uscire il concetto dalla metafisica e calandolo nel reale. Praticamente, i giovani protagonisti vedono materializzarsi le loro ansie e le loro paure, nonché l’apprensione nel doverle affrontare.

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Proprio dall’ispirazione alle succitate serie tv deriva una delle perplessità legate a “The New Mutants “. La sceneggiatura, infatti, nonostante sia tutto sommato ben congeniata, rimane piuttosto elementare ed ha più di qualche ingenuità. Una più delle altre è legata alla dottoressa Reyes, lasciata praticamente sola (non c’è nemmeno un guardiano, un giardiniere od un addetto alle pulizie) a gestire l’istituto e i cinque ragazzi che lo frequentano. E’ lei l’insegnante, lei la psicologa, lei la catalizzatrice dei cattivi pensieri che popolano le menti dei suoi giovani allievi. D’accordo che siamo nel campo del fantasy ma, ricordiamo, la plausibilità è comunque richiesta a qualsiasi genere di finzione.

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“The New Mutants” film recensione (NO SPOILER)

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Lo script, ad ogni modo, ha l’enorme merito di coltivare i giusti semi per far nascere empatia tra gli spettatori e tutti i protagonisti. Una medaglia da condividere con un cast assolutamente convincente e col regista Josh Boone, che dimostra, dopo “Colpa delle stelle”, ancora una volta di trovarsi a suo agio con gli attori adolescenti. Interessante, poi, la buona capacità mostrata nella scrittura delle storie dietro a ciascun protagonista, tutte svelate con la giusta gradualità.

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Decisamente non bene, invece, e qui dobbiamo, purtroppo, tornare a parlare delle difficoltà di budget, gli effetti speciali. In film come “The New Mutants” sono fondamentali e, invece, qui deludono in maniera clamorosa, per di più in momenti chiave della narrazione come, ad esempio, il finale. Qui sta la falla più grossa di questa pellicola e, a malincuore, a davvero un aspetto fondamentale quando si tratta di giudicare un fantasy col gusto dell’horror. Questa grave mancanza non viene colmata, poi, nemmeno un po’ da una messa in scena davvero troppo basilare. Josh Boone aveva il dovere di osare di più, di trovare il guizzo, una scena madre. Invece, come i personaggi principali del film, ha paura di farsi ingoiare dai suoi timori e, una volta trovata la stabilità minima, si accontenta di camminare barcollando.

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In condizioni come queste, dunque, è davvero difficile etichettare “The New Mutants” come qualcosa di più di un film d’intrattenimento. Sebbene, insomma, riesca benissimo nel suo obiettivo minimo, la pellicola si colloca in uno scomodo limbo per lo spettatore. Non saprà mai, infatti, se ha appena visto le basi per una trilogia che non vedrà mai la luce, o la sublimazione delle potenzialità di un film di serie b. Occasione sprecata? Forse. O forse no.

Francesco G. Balzano

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“GRETEL E HANSEL” FILM RECENSIONE (NO SPOILER)

“Gretel e Hansel” film recensione (NO SPOILER)

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“Gretel e Hansel” film recensione (NO SPOILER)

“Gretel e Hansel” film recensione (NO SPOILER)

Distribuzione: Midnight Factory

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Regia: Oz Perkins
Cast: Sophia Lillis, Samuel Leakey, Charles Babalola, Alice Krige, Jessica De Gouw, Fiona O’Shaughnessy, Donncha Crowley, Melody Carrillo, Jonathan Delaney Tynan
Genere: Horror, Fantasy
Durata: 87 minuti
Voto: ♥♥ 1/2 (su 5)

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La trama

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Un giorno la giovane Gretel e il fratellino Hansel vengono cacciati di casa dalla madre. Quest’ultima non non può più provvedere a loro a causa della povertà dilagante. La ragazza decide di addentrarsi nell’oscuro bosco insieme al fratello alla disperata ricerca di cibo, riparo e lavoro. Ma non sa che la foresta è piena di insidie e pericoli mortali. Fortunatamente accorre in loro aiuto un cacciatore. che li aiuterà a superare i primi ostacoli che la folta boscaglia presenterà ai due fratelli. Ma mentre sono alla ricerca di cibo nel bosco, incappano in una casa che emana profumo di dolci appena sfornati. Qui abita un’anziana donna, Holda, che offre ai due pasti, un posto per dormire in cambio di aiuto nei lavori di casa.

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Il nostro giudizio

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“Gretel e Hansel” è un’interessante opera di rivisitazione in chiave gotica della pellicola dei fratelli Grimm. Il soggetto non è proprio originalissimo, anche perché, solo sette anni fa, Tommy Wirkola si era divertito a rimescolare i tasselli della fiaba in un action scanzonato (“Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe”). Qui, invece, gli eventi vengono presi terribilmente sul serio. Il buon Oz Perkins, infatti, inserisce i giovani protagonisti in un’ambientazione medievale, si, ma piuttosto imprecisa, e li segue nella spasmodica ricerca di una salvezza tutt’altro che facile da raggiungere.

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C’è da dire che il regista è davvero bravo nel disegnare attorno ai protagonisti un mondo tanto spaventoso quanto affascinante. La pellicola ha una forte carica evocativa, dettata da immagini in grado di affascinare lo spettatore, come fossero quadri ispirati all’arte fiamminga. Interessante anche lo spunto filosofico che è nel sottotesto, ovvero quest’idea del Male che si nasconde dietro i finti bisogni, alla base delle delusioni esistenziali. Un Male che colpisce pericolosamente l’ingenuo Hansel e, invece, viene tenuto a distanza dalla matura e consapevole Gretel.

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Il film, però, soffre di una lentezza davvero disarmante. D’accordo, è utile a rendere il tutto volutamente ipnotico, ma la narrazione subisce un grave danno. Gli eventi che vedono Gretel investigare sull’oscuro segreto nascosto dietro l’anziana che l’accoglie e la ricerca di sé stessa, scorrono con una flemma portatrice di sonnolenza. Va anche bene infarcire il film di un sottotesto incentrato sulla dannosità della fame di potere, ma, alla fine, diventa difficile catalogare “Gretel e Hansel” come horror.

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“Gretel e Hansel” film recensione (NO SPOILER)

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Anzi, diventa piuttosto difficile etichettarlo con un genere. Sia chiaro, non è per forza una cosa negativa (c’è chi  ne farebbe un vanto), ma il risultato è che la visione si rivela davvero difficile. E questo di certo non giova ad una pellicola che, già in partenza, ha pochi punti di attrazione verso il pubblico. Rimane, comunque, da sottolineare ancora una volta l’indubbia bravura del regista, che riesce a trasmettere per intero la sua passione per le ambientazioni cupe e sature di cattivi pensieri.

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Chiara, nell’aver invertito i nomi dei protagonisti nel titolo, la volontà di mettere più in luce il personaggio di Gretel rispetto a quello di Hansel. Operazione riuscita, anche per merito della buona prova, in sottrazione, di Sophia Lillis, talento lanciato dal successo di “It”. In generale, funziona bene tutto il cast femminile, perché è eccelente anche la prova della veterana Alice Krige, perfetta nei panni della strega.

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“ONWARD” FILM RECENSIONE (NO SPOILER)

“Onward” film recensione (NO SPOILER)

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“Onward” film recensione (NO SPOILER)

“Onward” film recensione (NO SPOILER)

Distribuzione: Disney.it

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Regia: Dan Scanlon
Voci italiane: Andrea Mete, Alex Polidori, Sabrina Ferilli, Francesca Guadagno, Enzo Avolio, Fabio Volo, Guendalina Ward, Micaela Incitti, Delal Suleiman, Graziella Polesinanti, Massimiliano Manfredi, Renato Cecchetto
Genere: Animazione, fantastico, commedia, avventura
Voto: ♥♥♥ (su 5)

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La trama

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In un tempo equivalente ai tempi moderni, nella città di New Mushroomton vivono due fratelli elfi. Ian Lightfoot, un liceale privo di fiducia in sé stesso, e Barley, appassionato di giochi di ruolo e fanatico della storia, che Ian trova imbarazzante a causa del suo comportamento stravagante. Il padre Wilden è morto poco prima della nascita di Ian a causa di una grave malattia. Lasciando la loro madre Laurel ad allevarli da sola. I tre conducono una vita serena e Laurel ha un nuovo fidanzato, l’agente di polizia centauro Colt Bronco, che i ragazzi non gradiscono. Al sedicesimo compleanno di Ian, Laurel dà ai fratelli un regalo di Wilden. Un bastone magico, una rara Gemma di Fenice e una lettera che spiega come lanciare un ‘incantesimo evocativo’, in grado di far risorgere Wilden per un solo giorno.

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Il nostro giudizio

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La storia della distribuzione di questo film è abbastanza particolare: uscito nelle sale statunitensi prima del lockdown, non stava andando particolarmente bene, anzi. Il pubblico, in sostanza, lo aveva snobbato, definendolo un film trascurabile, probabilmente il peggiore della Pixar. Critiche piuttosto ingenerose, perché certo non è tra i migliori, ma non si può pretendere che una casa di produzione faccia uscire solo cose eccellenti. “Onward” è un film ben fatto, soprattutto da un punto di vista dell’animazione, e riesce pure a mandare un messaggio potentissimo, non trascurando di far divertire il pubblico con qualche sketch riuscito. Certo, ha più di qualche difetto. Un esempio? L’ambientazione, sospesa tra il fantasy ed il contemporaneo, è molto superficiale, almeno rispetto agli affini e illustri predecessori “Monsters & co.” e “Monsters University”. Manca, poi, il ‘cattivo’ della situazione, che è una sorta di marchio di fabbrica della Pixar, solitamente molto brava nel crearne di validi.

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E’ una grave perdita, almeno da un punto di vista narrativo, perché questo tipo di cinema d’animazione soffre molto quando manca il nemico da combattere. Interessante, però, l’ostacolo che i due protagonisti devono superare, ovvero le loro paure. Buonissimo, poi, il doppiaggio sia statunitense sia italiano. In originale, infatti, Ian e Barley hanno la voce, rispettivamente, dei ‘marvelliani’ Tom Holland e Chris Pratt. Per la versione, italiana, invece, è stata fatta la scelta più saggia, ovvero quella di prendere i doppiatori nostrani dei due attori. Attenzione: nel nostro cast di ugole compaiono anche Fabio Volo (che presta le corde vocali al padre dei due fratelli) e Favij, che doppia Spiritello. Nessun allarme, però, perché sono personaggi secondari, con apparizioni talmente brevi che gli è praticamente impossibile rovinare alcunché. Cattiverie a parte, è interessante, da un punto di vista della sceneggiatura, il ruolo del genitore dei protagonista.

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“Onward” film recensione (NO SPOILER)

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Pur non parlando praticamente mai, infatti, ha un ruolo centrale e un simbolismo di gran valore. Esilarante, poi, il continuo citazionismo in stile “Weekend con il morto”. “Onward”, dicevamo, è un film che fa anche ridere ma, per onestà, dobbiamo far notare che è la pellicola meno divertente della Pixar. Verrà, però, senz’altro ricordato per l’emozionante ritratto del rapporto unico tra i due fratelli al centro del racconto. Ian e Barley sono profondamente diversi. Il primo è timidissimo, malinconico, insicuro e pieno di paure, mentre l’altro è un sognatore testardo e, soprattutto, caparbio. E’ estremamente interessante, poi, il fatto che il loro papà, nonostante abbia vissuto in un mondo magico, sia morto per un brutto male incurabile. Il film, quindi, si addentra con grande delicatezza nel complesso tema dell’elaborazione del lutto tra gli adolescenti.

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“Onward” è un riuscito road-movie di formazione, dove ciascuno dei due protagonisti imparerà qualcosa dall’altro. Un bel viaggio tra le emozioni in cui si fa tappa negli anfratti più nascosti delle anime dei personaggi principali. Laddove, cioè, si nascondono le paure su un futuro apparentemente troppo grande e incerto per la loro giovane età. E’ una pellicola che invita i giovani spettatori a non arrendersi davanti alle difficoltà, a trovare sempre una ragione per combattere e, soprattutto, a non sentirsi mai soli, anche quando si subisce una grave perdita. Molto meno interessanti, invece, gli altri personaggi secondari. Strano, perché di solito la Pixar, invece, dedica sempre loro il giusto spazio. Alcuni di loro, addirittura, appaiono e scompaiono senza lasciare traccia. Un peccato, poi, che il ruolo della madre di Ian e Barley non sia sviluppato a dovere, perché potenzialmente avrebbe una parte importantissima. Invece, da un certo punto in poi, viene messa inspiegabilmente ai margini della narrazione. Per tanti motivi, dunque, “Onward” va considerato un film minore della Pixar, ma magari tutti i ‘minori’ avessero il suo tasso di qualità!

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Francesco G. Balzano

“TENET” RECENSIONE FILM (NO SPOILER)

“Tenet” recensione film (NO SPOILER)

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“Tenet” recensione film (NO SPOILER)

“Tenet” recensione film (NO SPOILER)

Distribuzione: Warner Bros Italia

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Regia: Christopher Nolan
Cast: John David Washington, Robert Pattinson, Elizabeth Debicki, Dimple Kapadia, Michael Caine, Kenneth Branagh, Martin Donovan, Fiona Dourif, Jurij Kolokol’nikov, Himesh Patel, Clémence Poésy, Aaron Taylor-Johnson, Denzil Smith.
Genere: Azione, fantascienza, spionaggio, thriller
Durata: 150 minuti
Voto: ♥♥

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La trama

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Il protagonista senza nome, un agente della CIA, partecipa a un’operazione russa sotto copertura . Per salvare un agente compromesso e rubare un oggetto non identificato durante un assedio terroristico al teatro dell’opera di Kiev. Dopo aver salvato l’agente e recuperato l’oggetto, il protagonista invia parte della sua squadra attraverso un’uscita segreta. Poco dopo il protagonista viene salvato da un uomo armato mascherato, con un filo rosso sullo zaino. Il protagonista si unisce nuovamente ai russi, che, resosi conto di essere stati ingannati, lo torturano, ma il giovane resiste all’interrogatorio e assume una pillola avvelenata. Al risveglio, il protagonista scopre che la pillola era falsa e che i russi hanno catturato e ucciso tutti i membri della sua squadra. Appropriandosi dell’oggetto non identificato.

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Il nostro giudizio

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“Tenet” è il film che certifica quanto, ormai, Nolan sia diventato un fan di sé stesso. Nella pellicola, infatti, troviamo tutti i punti cardine della sua idea di cinema. Esasperati, però, all’ennesima potenza, con un gusto che diventa quasi parodistico. La trama, di per sé, ha una sua linearità, ma siccome il regista, negli anni, si è fatto conoscere per le storie cervellotiche, allora complica tutto forzatamente. Intendiamoci, “Tenet” ha un senso cinematografico indiscutibile, una colonna sonora memorabile ed un cast di primissimo livello.

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Buone, a tal proposito, le interpretazioni dei due protagonisti, John David Washington e Robert Pattinson, anche se la sceneggiatura non dà ai loro personaggi il giusto spessore, rendendoli così facilmente dimenticabili. Interessanti e ben caratterizzati, invece, i ruoli interpretati da Elizabeth Debicki e Kenneth Branagh, quest’ultimo perfetto nella parte del villain. Ad ogni modo, seppur non si può parlare di pellicola deludente, si può invece dire che, dopo “Dunkirk”, Nolan prosegue nel suo periodo di scarsa vena creativa.

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Insomma, chi si aspetta un nuovo “Inception” è destinato a rimanere deluso. Il soggetto è senz’altro interessante, però il problema di questo film è nella messa in scena estremamente confusionaria, col solito finale che necessita di una spiegazione da cercare su Google. Se in “Inception”, però, quell’alone di mistero sull’epilogo era furbescamente voluto, qui la conclusione sembra dovutamente confusa. Quasi, insomma, come se fosse un dogma del suo cinema più che una reale necessità narrativa.

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“Tenet” recensione film (NO SPOILER)

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Dunque, in “Tenet” la confusione regna sovrana, sia per colpa di uno script troppo raffazzonato, sia, a sorpresa, per una regia con poche intuizioni. Fatte salve, comunque, alcune, pochissime, scene con un buon tasso di inventiva. La realizzazione tecnica del film, tutto sommato, è anche discreta (non eccelsa, però), ma il vero punto debole di questa produzione è la totale mancanza di contenuto, nonostante una confezione piuttosto curata. La pellicola, insomma, si accontenta di un’aurea mediocritas.

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Di essere un interessante esercizio di stile in cui ognuno fa bene il compitino senza, però, credere troppo nel progetto complessivo. Buono il sottotesto, anche se, di nuovo, è un po’ buttato lì a caso e si perde nel marasma generale. Siamo, dunque, molto lontani dalla magnificienza con cui venivano svelati i messaggi subliminali nel cinema del cineasta statunitense. “Tenet” rimane un film da vedere, se non altro perché diretto da uno degli autori più celebrati dei nostri tempi. Però sarebbe poco onesto non sottolineare che c’era da aspettarsi molto (ma molto) di più.

Francesco G. Balzano

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“365 GIORNI” LA RECENSIONE DEL FILM

“365 giorni” la recensione del film

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“365 giorni” la recensione del film

“365 giorni” la recensione del film

Disponibile su Netflix

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Regia: Barbara Białowąs, Tomasz Mandes
Cast: Anna-Maria Sieklucka, Michele Morrone, Bronisław Wrocławski, Otar Saralidze, Magdalena Lamparska, Natasza Urbańska, Grażyna Szapołowska, Tomasz Stockinger, Gianni Parisi, Mateusz Łasowski.
Genere: Erotico, Azione, Drammatico
Durata: 115 minuti
Voto: ♥ (su 5)

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La trama

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Dopo un incontro tra la famiglia mafiosa siciliana dei Torricelli e gli spacciatori del mercato nero, Massimo Torricelli vede una bella donna su una spiaggia. Qualche attimo dopo suo padre, capo della famiglia mafiosa, viene ucciso a colpi di arma da fuoco, e anche Massimo viene ferito. Cinque anni dopo, Massimo è diventato un leader spietato e violento e comanda la famiglia Torricelli. A Varsavia, Laura Biel, una giovane imprenditrice di successo, è infelice nella sua relazione con il fidanzato Martin, con cui non riesce ad avere rapporti sessuali. Laura decide di festeggiare il suo ventinovesimo compleanno in Sicilia con gli amici. Ma dopo che Martin la mette in imbarazzo, va a fare una passeggiata e si imbatte in Massimo, che la rapisce.

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Il nostro giudizio

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Finito, chissà come, nel catalogo di Netflix e, soprattutto, nella top 10 dei più visti sulla piattaforma, “365 giorni” è un film semplicemente inguardabile. Doveva essere il “50 sfumature di grigio” italiano, il che la dice già lunga sulle ambizioni qualitative del progetto, ebbene: è riuscito a fare molto peggio. Il pretesto per quella che, per convenzione, chiameremo trama la dà una fanfiction (capito il livello?). Ma, in realtà, è tutto un pretesto per un collage di scene degne di un film per la notte fonda delle reti private.

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Inutile, dunque, dilungarsi troppo sugli sviluppi della narrazione, perché, a dire il vero, questo lungometraggio non narra un bel niente. Vi basti sapere che, per sommi capi, è la vicenda di un sosia di Fabrizio Corona che rapisce, senza un motivo apparente, una graziosa fanciulla di cui si è invaghito. Per dar vita ad una sorta de “La Bella e la Bestia” in versione sporcacciona. I “365 giorni” del titolo sono la scadenza che lui dà a lei per innamorarsi. Bene, in questo lasso di tempo, i due aitanti protagonisti non fanno altro che mostrare le loro pudenda e darsi allo shopping, a volte addirittura le due cose contemporaneamente.

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Il tutto, è bene precisarlo, sulle orribili note della colonna sonora. In più, come se già non bastasse la bruttezza di ogni aspetto tecnico di questo prodotto, il film si preoccupa anche di lanciare pessimi messaggi. La protagonista, lo ricordiamo, è una ragazza rapita che dovrebbe innamorarsi del suo aguzzino. Perdipiù, il ‘galantuomo’ protagonista è anche una persona estremamente violenta, nonché uno stalker. Insomma, è una persona da tenere bene alla larga. Però è bello, e siccome in questa orrenda pellicola davanti all’estetica si perdona e dimentica tutto, lei, clamorosamente, perde la testa per questo avanzo di galera.

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“365 giorni” la recensione del film

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A questo aggiungiamo anche un grave stereotipo nostre forze dell’ordine totalmente asservite al malavitoso di turno. Dunque, “365 giorni” non ha altro da offrire se non una pessima figura di sé. Il film calpesta qualsiasi conquista sociale fatta sin qui nella nostra storia. Ecco, quindi, l’anacronistica riproposizione della donna donna che ha bisogno del “maschio alfa” per sentirsi protetta. Oppure ancora la mitologica, inesistente, figura del mafioso ‘buono’. Quello che ha il suo codice d’onore per cui uccide solo i ‘cattivi’ e offre protezione ai più deboli.

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Insomma, una serie inenarrabile di castronerie alle quali nessuno, nel 2020, dovrebbe credere. Questa sequela di sconcezze, sia materiali che ideologiche, sfocia in un finale aperto, che spalanca le porte ad un nuovo capitolo. Perché il peggio, a quanto pare, piace ed è per questo che al peggio non c’è mai fine.

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“FAVOLACCE” LA RECENSIONE DEL FILM

“Artemis Fowl” la recensione del film

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“Artemis Fowl” la recensione del film

“Artemis Fowl” la recensione del film

Disponibile su disneyplus.com

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Regia: Kenneth Branagh
Cast: Ferdia Shaw, Lara McDonnell, Nonso Anozie, Josh Gad, Judi Dench, Miranda Raison, Colin Farrell, Hong Chau, Adrian Scarborough
Genere: Avventura, Fantastico, Fantascienza
Durata: 94 minuti
Voto: ♥ 1/2 (su 5)

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La trama

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Artemis, un geniale ragazzino di dodici anni, vive alla residenza dei Fowl con il padre vedovo Artemis Sr., che gli trasmette la sua conoscenza delle fiabe irlandesi. Durante uno dei suoi viaggi d’affari, Artemis Sr. scompare dalla sua barca, la Fowl Star , accusata del furto di numerosi manufatti inestimabili trovati a bordo. E Artemis riceve una chiamata da una figura incappucciata. Quest’ultima tiene prigioniero suo padre e concede ad Artemis tre giorni per recuperare il manufatto magico chiamato Aculos, che Artemis Sr. ha rubato e nascosto. Domovoi “Dom” Leale, la guardia del corpo di Artemis, gli mostra una biblioteca nascosta dove generazioni di Fowl hanno catalogato le prove dell’esistenza di creature magiche.

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Il nostro giudizio

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Nelle intenzioni del regista Kenneth Branagh, “Artemis Fowl” doveva essere un “Die Hard con le fate”. Ma, a conti fatti, ci si trova davanti ad un filmetto per famiglie pieno di imprecisioni sia tecniche che di sceneggiatura. In fase di montaggio, infatti, si è deciso di ridurre la pellicola a poco più di un’ora e mezza di durata, quando, invece, il materiale narrativo fornito dalla saga letteraria avrebbe richiesto molto più tempo. Così, lo spettatore si ritrova immerso in una storia a volte insensata, che va a doppia velocità e costellata di personaggi senza spessore, se non, in alcuni casi, addirittura inutili. Va peggio, poi, quando si cerca di truccare di difetti con effetti speciali rivedibili, resi ancora più ingiustificabili da un budget a disposizione che non era nemmeno basso.

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Chi ha letto i romanzi della saga dedicata ad “Artemis Fowl” giura che la sua trasposizione cinematografica è molto al di sotto delle attese. Tendiamo a crederci, perché il protagonista più che un genio del crimine, come ci viene descritto, sembra un ragazzino presuntoso e piuttosto antipatico a cui è davvero difficile affezionarsi. Doveva essere, invece, una mente geniale in grado di mettere a segno, grazie ad un intelligenza machiavellica, una serie di grandi colpi. Nel film di Branagh tutto questo viene messo da parte per lasciare spazio ad una storia banale, dove non c’è un colpo di scena degno di questo nome e, perciò, tutto scorre sin troppo liscio.

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“Artemis Fowl” la recensione del film

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Pure il parallelo mondo di fate e nani con cui il protagonista entra in conflitto viene svilito sino a diventare superfluo. Se nella versione letteraria questi personaggi si rivelano ossi duri da affrontare anche per l’acuto Artemis Fowl, in questa trasposizione diventano avversari facili da tenere a bada. Il film manca di cattiveria, di spietatezza, probabilmente per volontà Disney preoccupata di compiacere il pubblico dei giovanissimi. La scelta può anche essere sensata, ma allora perché sprecare una saga che poteva regalare emozioni più forti e per un pubblico più eterogeneo?

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Il film, poi, butta all’aria anche un cast adulto piuttosto valido, che vanta nomi di primissimo piano come Colin Farrell, Judi Dench e Josh Gad. Anche loro, in fondo, appaiono poco convinti di questa operazione e si limitano ad assecondare una sceneggiatura scialba e che punta all’essenziale, per giunta col minimo sforzo. Non si può dire, comunque, che “Artemis Fowl” sia un film senza pubblico, anzi, se possibile il suo principale problema sta proprio qui. La pellicola, infatti, parla solo ad una platea di età pari od inferiore a quella del protagonista e non si preoccupa minimamente di farsi ascoltare dagli altri. In fondo, la scelta di lanciarlo solo sulla piattaforma Disney Plus è piuttosto azzeccata, perché è un prodotto digeribile solo sul comodo divano di casa.

Francesco G. Balzano

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“FAVOLACCE” LA RECENSIONE DEL FILM

“Favolacce” la recensione del film

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“Favolacce” la recensione del film

“Favolacce” la recensione del film

Disponibile su primevideo.com

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Regia: Damiano e Fabio D’Innocenzo
Cast: Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Gabriel Montesi, Max Malatesta, Ileana D’Ambra, Giulia Melillo, Cristiana Pelligrino, Lino Musella, Justin Korovkin, Tommaso Di Cola, Giulietta Rebeggiani, Max Tortora
Genere: Drammatico
Durata: 98 minuti
Voto: ♥ (su 5)

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La trama

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Nella periferia meridionale di Roma vive una comunità di famiglie che svolgono una vita apparentemente normale e monotona. Nonostante ciò, ogni famiglia nasconde delle piccole verità, spesso poco piacevoli. Bruno, sposato con Dalila, è il padre di due figli dodicenni estremamente educati e istruiti, tanto da avere il massimo in ogni materia a scuola. Ma che in realtà non sono per nulla felici, vittime dei comportamenti rabbiosi proprio dei loro genitori. Amelio vive in un prefabbricato con il suo timido figlio Geremia, convinto di sapere sempre cosa sia meglio per il ragazzo. Vilma è una giovane ragazza che aspetta un figlio dal suo fidanzato. La monotonia porta anche altri ragazzini ad affacciarsi al mondo dell’adolescenza.

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Il nostro giudizio

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Dopo il loro film d’esordio, “La terra dell’abbastanza”, i fratelli D’Innocenzo tornano a raccontare la periferia romana. A guardar bene, però, di periferia capitolina c’è davvero poco e sembra di ritrovarsi, piuttosto, in un non-luogo fatto di villini in stile statunitense. Più
che a Spinaceto o Casal Bruciato, insomma, sembra di essere nella periferia di Los Angeles. Del resto, la sensazione che i registi abbiano guardato più e più volte “Alpha Dog” di Nick Cassavetes è fin troppo evidente.

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Dunque, i fratelli D’Innocenzo danno riferimenti geografici solo sulla carta, perché sul grande schermo, invece, hanno ambizioni molto più grandi e la periferia romana serve solo a dare colore a certi dialoghi sboccati. “Favolacce”, infatti, sguazza nel cattivo gusto con lo stesso divertimento con cui i maiali si tuffano nel fango. Il film, a vedere bene, altro non è se non una collezione di battutacce, situazioni scabrose ed imbarazzanti. Il tutto per descrivere, in maniera del tutto fittizia, un’assurda guerra tra due mondi: quello degli adulti e quello degli adolescenti. Quando esplorano questi due pianeti, però, i registi perdono le coordinate (sempre che le abbiano mai avute) ed esagerano in tutto, anche nella direzione degli attori. I ragazzi sono tutti privi di vitalità (chissà perché) e praticamente muti (quasi meglio così, in molti casi). I grandi, invece, urlano, sbraitano e offrono interpretazioni sopra le righe. Persino Elio Germano, solitamente sempre molto ben centrato nei suoi personaggi, qui sembra la brutta copia del protagonista de “La nostra vita”.

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“Favolacce” la recensione del film

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“Favolacce” è un film che non ha alcuna ragione di esistere. Ha un unico intento: quello di impressionare lo spettatore. Tutto il resto, non conta, non serve, è inutile. Parliamoci chiaro: non è che la pellicola abbia un significato recondito, che necessita di essere spiegato al termine della visione. Niente affatto. La storia è chiarissima, ma non si capisce da dove nasca l’esigenza di raccontarla. Il doversi dare una cifra autoriale giustifica, perché no, il fatto che si parta dalla realtà per, poi, sfociare nell’onirico. Ma l’onirico senza una base solida diventa un esperimento surreale, un esercizio di stile, un narcisistico guardarsi allo specchio.

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Siccome, però, fare Cinema significa anche parlare ad un pubblico, allora è necessario, pur con tutti i guizzi autocompiaciuti, averne rispetto e considerazione. Bisogna, inoltre, sottolineare che i fratelli D’Innocenzo sono ancora alla ricerca di un proprio stile, perché oltre ad una scopiazzatura, piuttosto accurata, di altri cineasti si vede ben poco. “Favolacce” è un film con pretese ma senza basi, dove il cinema in stile Garrone incontra l’indipendentismo statunitense, però senza trovare l’amalgama. E’ un pasticcio con capo e con coda ma senza anima, per giunta con gravi problemi tecnici (l’audio, infatti, è problematico e molti dialoghi sono difficilmente decifrabili). Se è una scelta voluta, come qualcuno sostiene, allora è l’ennesima riprova che gli emergenti D’Innocenzo sono bravi a darsi le arie, ma molto meno a fare Cinema.

Francesco G. Balzano

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“CURON” RECENSIONE SERIE

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