Mese: Maggio 2025

“Come l’arancio amaro” di Milena Palminteri leggi la recensione

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“Come l’arancio amaro” di Milena Palminteri leggi la recensione

Titolo: Come l’arancio amaro
Autore: Milena Palminteri
Genere: narrativa contemporanea
Editore: Bompiani
Pagine: 448
Prezzo: Euro 19
Ebook: Euro 11,99

Trama: Tre protagoniste straordinarie fronteggiano la sfida più grande: trovare il senso del proprio essere donne in un mondo che vorrebbe scegliere al posto loro. Nardina, dolce e paziente, che sogna di laurearsi ma finisce intrappolata nel ruolo di moglie. Sabedda, selvatica e fiera, che vorrebbe poter decidere il proprio futuro ma è troppo povera per poterlo fare. Carlotta, orgogliosa e determinata, che vorrebbe diventare avvocato in un mondo dove solo i maschi ritengono di poter esercitare la professione. E un segreto, che affonda nella notte in cui i loro destini si sono uniti per sempre.

Una lettura che emoziona, travolge, resta

Quando un romanzo riesce a colpire dritto al cuore, lasciando quel retrogusto dolce-amaro che solo le grandi storie familiari sanno dare, vuol dire che siamo davanti a qualcosa di raro. L’arancio amaro, esordio di Milena Palminteri, è proprio questo: una saga potente, scritta con garbo, passione e una penna che non ha nulla da invidiare a narratrici ben più navigate.

Tre donne, tre destini, un’unica lotta: essere se stesse

La trama si snoda tra gli anni Venti e Sessanta del Novecento, accompagnando tre protagoniste indimenticabili: Nardina, dolce e paziente, che sogna la laurea ma viene risucchiata nel ruolo di moglie; Sabedda, istintiva e fiera, che lotta contro una povertà che le tarpa le ali e Carlotta, orgogliosa e ostinata, che vuole diventare avvocato quando “avvocato” era sinonimo di uomo.

Tre donne diverse, ma accomunate da un fuoco interiore che si rifiuta di spegnersi. In un mondo che non le vuole libere, loro provano a esserlo lo stesso. E lo fanno con dignità, con dolore, ma anche con una struggente bellezza.

Stile narrativo: scorrevole, raffinato, mai banale

Milena Palminteri dimostra una padronanza stilistica sorprendente: la sua scrittura è scorrevole ma ricca, raffinata ma non leziosa, con una cura per le parole che incanta senza mai appesantire. Ogni frase è costruita per restare, ogni dialogo è cesellato con precisione.

E poi ci sono le immagini: vere, vivide, quasi cinematografiche. Il profumo dell’arancio amaro – simbolo di spina e bellezza, di dolore e speranza – diventa metafora perfetta di ciò che queste donne incarnano.

«Carlotta mia, io dell’arancio amaro conosco solo le spine e ormai non mi fanno più male. Ma il profumo del suo fiore bianco è il tuo, è quello della libertà.»

Una frase così, da sola, vale il prezzo del libro.

Un romanzo storico dal cuore pulsante

Ambientato in un’Italia divisa tra fascismo, guerra e ricostruzione, L’arancio amaro non è solo una saga familiare, ma anche un affresco storico vivido, in cui il privato e il politico si intrecciano in modo naturale. La Storia con la S maiuscola fa da sfondo, ma non schiaccia mai le storie individuali.

Anzi, sono proprio quelle a renderla viva. Si respira la polvere delle strade, si sente il morso delle rinunce, ma anche l’urgenza di cambiare il proprio destino.

Il mio pensiero personale

Ci sono libri che sembrano scritti per te. Ti riconosci in una frase, ti emozioni per un gesto, ti arrabbi con un personaggio come se fosse reale. L’arancio amaro è stato così per me. Leggendolo, ho sentito il battito del cuore delle mie nonne, delle donne che hanno lottato in silenzio perché io potessi scrivere, scegliere, parlare.

Ho amato profondamente questo romanzo perché mi ha fatto sentire meno sola, meno strana nel mio modo di essere donna oggi, ancora piena di spine ma ostinatamente profumata di libertà.

Consiglio questo libro a chi ha voglia di sentirsi raccontare una verità che ci appartiene tutti, ma che spesso dimentichiamo.

Conclusioni: un romanzo da leggere e da regalare

Se ami le saghe familiari, le storie di donne forti, la scrittura che accarezza ma sa anche graffiare, L’arancio amaro è una lettura che non puoi lasciarti sfuggire. Un romanzo d’esordio che sembra il lavoro di una scrittrice matura, che conosce il dolore, l’amore e la bellezza del resistere.

Barbara Piergentili
(account Instagram: letture_barbariche)


“TATA'” DI VALERIE PERRIN LEGGI LA RECENSIONE

Papa Leone XIV e la svolta tra tradizione e inclusione: migranti donne e diritti LGBTQ+ sotto la lente del nuovo pontificato

Papa Leone XIV e la svolta tra tradizione e inclusione: migranti, donne e diritti LGBTQ+ al centro del suo nuovo e atteso pontificato

Papa Leone XIV e la svolta tra tradizione e inclusione: migranti, donne e diritti LGBTQ+ sotto la lente del nuovo pontificato. È questo il punto di partenza da cui si snoda l’osservazione più attenta e, insieme, la speranza o il timore di molti fedeli e osservatori. Quando il cardinale protodiacono Dominique Mamberti ha pronunciato dal balcone della Basilica di San Pietro il nome di Robert Francis Prevost, il mondo ha immediatamente iniziato a domandarsi quale sarebbe stata la direzione del nuovo Papa. Una direzione, certo, influenzata dal lungo pontificato di Papa Francesco, ma non per questo destinata a replicarlo. Anzi, sono bastate poche ore per cogliere sfumature, segnali, discrepanze, indizi su un possibile cambio di rotta. Non una rottura, ma un’altra angolazione. La stessa dottrina, ma forse un’altra postura.

L’elezione di un Papa statunitense, agostiniano, missionario in Perù per vent’anni, già responsabile della Congregazione per i Vescovi, porta con sé un bagaglio di sensibilità e visione non ordinario. Leone XIV, nei suoi primi gesti e nelle sue prime parole, ha mostrato di voler proseguire la strada tracciata da Bergoglio, ma con un linguaggio proprio. Più strutturato, più interno alla gerarchia ecclesiastica, forse meno populista ma non meno aperto. Eppure, per quanto il pontefice appena eletto abbia parlato di continuità, i temi su cui si è pronunciato — dai migranti alle donne, fino ai diritti LGBTQ+ — fanno intravedere un’identità già distinta. Il confronto tra Leone XIV e Papa Francesco è inevitabile, non solo per gli osservatori vaticani, ma per una Chiesa che continua ad attraversare una delle sue stagioni più trasformative. E questo confronto parte proprio dallo stile.

Un modo di porsi che racconta già molto

Nell’affacciarsi al mondo dalla Loggia delle Benedizioni, Leone XIV è apparso commosso, teso, con il volto rigido, le mani tremanti, lo sguardo che cercava appigli tra il foglio e la folla. Nulla a che vedere con l’immediatezza spiazzante del “Fratelli e sorelle carissime, buonasera” pronunciato da Jorge Mario Bergoglio nel 2013. Eppure, anche in questo approccio c’era un messaggio. Il nuovo Papa ha voluto rivolgersi a Roma, prima ancora che al mondo, ponendo l’accento sulla dimensione locale, pastorale, reale. Ha voluto mostrare fragilità, non teatralità. E nel farlo ha ricordato l’immagine, tanto cara a Francesco, del pastore che porta addosso l’odore delle pecore. L’ha fatto non con slogan, ma con il tremore della voce e con la compostezza di chi porta una responsabilità più grande delle proprie forze.

Lo stile non è solo comunicazione, è visione del potere. In questo senso, Leone XIV si distanzia da Papa Francesco. Dove il primo ha cercato fin dal principio una sobrietà comunicativa fatta di gesti spiazzanti, rifiuto delle formalità e delle tradizioni curiali, il secondo mostra fin da subito un rispetto per i segni e per i simboli della tradizione liturgica. La mozzetta rossa, la stola con le chiavi di Pietro, la croce d’oro già usata da Benedetto XVI: tutti dettagli che raccontano il legame con la storia e con il ministero petrino in una forma più classica, più liturgica. Non è un ritorno al passato, ma una rilettura del presente con il linguaggio della continuità.

Il corpo parla quanto le parole

Anche la scelta dell’abito, delle scarpe nere, dell’appartamento apostolico (ancora in sospeso, ma oggetto di attente speculazioni), parla di un equilibrio tra novità e tradizione. Francesco aveva scelto di non vivere nel palazzo pontificio, spostando il centro del potere simbolico; Leone XIV potrebbe decidere diversamente, ristabilendo una presenza più forte nel cuore del Vaticano. Il gesto conterebbe non poco.

Eppure, quando si passa dalla forma alla sostanza, si torna sempre a parlare di ciò che oggi divide e interroga la coscienza cattolica: i grandi temi dell’umanità, dalla migrazione alla dignità delle persone, passando per l’identità e i diritti civili. Qui si misura davvero la portata di un pontificato.

Migranti, la continuità di un’urgenza evangelica

Nessun dubbio sul fatto che Leone XIV prosegua, e con convinzione, la linea aperta da Francesco sul tema dei migranti. È noto che, da cardinale, Prevost non abbia esitato a criticare con fermezza le politiche migratorie dell’amministrazione Trump, accusandole implicitamente di contraddire i principi evangelici. Sui social aveva condiviso articoli critici, aveva citato con approvazione le parole di Francesco, aveva mostrato disagio di fronte all’uso selettivo del concetto di amore cristiano per giustificare espulsioni e rifiuti. Una presa di posizione chiara, inequivocabile, che lo colloca sulla linea della tradizione più profonda della dottrina sociale della Chiesa. Quella che mette al centro il volto di chi fugge, di chi cerca casa, di chi spera in una vita diversa.

Su questo punto non c’è ambiguità. Per Leone XIV, come per Bergoglio, l’accoglienza non è una posizione ideologica ma un dovere evangelico. Lo dimostra anche la scelta di avere accanto a sé, nel momento più solenne del suo insediamento, figure simboliche come l’arcivescovo emerito di Sarajevo, malato e fragile, eppure presente in conclave. Un gesto che racchiude il rifiuto della guerra e il riconoscimento di chi porta il peso della sofferenza.

Donne nella Chiesa: un campo ancora scivoloso

Meno chiaro è il fronte della partecipazione femminile alla vita ecclesiale. Leone XIV, pur riconoscendo il valore del contributo delle donne nella Chiesa, ha già lasciato intendere che difficilmente sosterrà aperture verso l’ordinazione sacerdotale. Durante il Sinodo del 2023 ha affermato che il sacerdozio femminile “non risolve necessariamente un problema, ma potrebbe crearne uno nuovo”. Una frase che riassume una posizione attendista, prudente, forse poco incline ad accogliere le spinte più progressiste.

Eppure, il nuovo Papa non sembra chiudere le porte alla possibilità che le donne abbiano un ruolo più rilevante nella struttura ecclesiale. Non lo fa con proclami, ma con una lenta ricollocazione del discorso. Potrebbe essere proprio questa l’area in cui si giocherà uno dei nodi più spinosi del suo pontificato: trovare un equilibrio tra una dottrina consolidata e una prassi pastorale che chiede aggiornamento.

Diritti civili e mondo LGBTQ+: un percorso ancora ambivalente

Tra i temi più delicati, quello dei diritti delle persone LGBTQ+ è forse il più emblematico delle tensioni tra dottrina e pastorale. Leone XIV, da vescovo, aveva pronunciato parole molto chiare contro l’uso del termine “famiglie alternative” per indicare le coppie omosessuali. Aveva detto che la famiglia, secondo la Chiesa, nasce solo dall’unione tra un uomo e una donna, e che tutto il resto — per quanto degno di rispetto — non poteva essere equiparato. Aveva criticato i media occidentali per una presunta complicità con stili di vita ritenuti non coerenti con il Vangelo.

Eppure, più di recente, ha sostenuto la dichiarazione Fiducia supplicans, che apre alla possibilità di benedire le coppie omosessuali. Lo ha fatto con cautela, senza proclami, ma senza nemmeno tirarsi indietro. Questo doppio registro — teologicamente conservatore, pastoralmente aperto — è forse il segno più chiaro dello stile di Leone XIV: non demolire, ma reinterpretare. Non rivoluzionare, ma includere. Non cambiare la legge, ma trovare un modo per stare accanto alle persone senza giudicarle.

Un approccio che può dispiacere ai più progressisti e infastidire i conservatori, ma che segna una linea precisa: quella di un Papa che cerca mediazioni senza cedere all’ambiguità.

Ambiente e cambiamento climatico: un’alleanza da consolidare

Sul fronte ecologico, Leone XIV sembra intenzionato a proseguire con decisione la strada aperta da Francesco. Ha partecipato a seminari, ha parlato della necessità di evitare un “dominio tirannico” dell’uomo sulla natura, ha chiesto che si passi dalle parole ai fatti sul cambiamento climatico. In questo campo, più che in altri, la continuità appare quasi naturale. Non solo per affinità tematiche, ma perché l’ambiente è oggi uno dei pochi ambiti in cui la Chiesa può davvero proporsi come guida morale globale.

Il nuovo Papa ha capito che il linguaggio dell’ecologia è anche un linguaggio di fede, di relazione, di cura. Ed è lì che, forse, Leone XIV troverà uno dei suoi spazi di intervento più forti e più condivisi.

Un pontificato da osservare, senza etichette

Papa Leone XIV e la svolta tra tradizione e inclusione: migranti, donne e diritti LGBTQ+ sotto la lente del nuovo pontificato. È un titolo che riassume la tensione di questo inizio, ma non la esaurisce. Perché il nuovo Papa è ancora in cammino, e con lui lo è tutta la Chiesa. I segni ci sono, i gesti anche. Ora bisognerà capire se le parole si tradurranno in riforme, se le aperture diventeranno strutture, se le promesse si faranno realtà.

Non sarà un pontificato urlato, e nemmeno uno fatto di slogan. Sarà probabilmente un tempo di diplomazia e di lenta trasformazione. Ma anche nella lentezza può esserci la forza. Anche nel silenzio può esserci profezia. E forse, tra i tanti cambiamenti che Leone XIV potrebbe avviare, ci sarà anche quello di restituire alla Chiesa il gusto del discernimento. Quella capacità, sempre più rara, di pensare senza dividersi, di scegliere senza escludere, di credere senza temere il mondo.

fonte: corriere.it

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“Tatà” di Valerie Perrin leggi la recensione

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“Tatà” di Valerie Perrin leggi la recensione

Titolo: Tatà
Autore: Valerie Perrin
Genere: narrativa contemporanea
Editore: Edizioni E/O
Pagine: 608
Prezzo: Euro 21
Ebook: Euro 14,99

Trama: Agnès non crede alle sue orecchie quando viene a sapere del decesso della zia. Non è possibile, la zia Colette è morta tre anni prima, riposa al cimitero di Gueugnon, c’è il suo nome sulla lapide… In quanto parente più prossima tocca ad Agnès andare a riconoscere il cadavere, e non c’è dubbio, si tratta proprio della zia Colette. Ma allora chi c’è nella sua tomba? E perché per tre anni Colette ha fatto credere a tutti di essere morta? È l’inizio di un’indagine a ritroso nel tempo.

Grazie a vecchi amici, testimonianze inaspettate e una misteriosa valigia piena di audiocassette, Agnès ricostruisce la storia di una famiglia, la sua, in cui il destino dei componenti è legato in maniera indissolubile a un circo degli orrori, all’unica sopravvissuta di una famiglia ebrea deportata e sterminata dai nazisti, alle vicende di un celebre pianista e a quelle di un assassino senza scrupoli, alle subdole manovre di un insospettabile pedofilo e al tifo sfegatato per la locale squadra di calcio, il FC Gueugnon.

Recensione di Tatà di Valérie Perrin: un puzzle narrativo affascinante… ma troppo complicato?

Valérie Perrin torna in libreria con Tatà, un romanzo che conferma il suo stile inconfondibile fatto di ironia lieve, delicatezza emotiva e una grande voglia di raccontare i destini intrecciati dell’animo umano. Dopo il successo di Cambiare l’acqua ai fiori e Tre, l’autrice francese ci propone una nuova storia ricca di misteri, personaggi e colpi di scena. Ma se da un lato la scrittura della Perrin resta coinvolgente e capace di toccare corde profonde, dall’altro questa volta l’intreccio narrativo rischia di sopraffare anche il lettore più paziente.

Una trama ricca… forse troppo

La premessa è accattivante: Agnès scopre che la zia Colette — detta Tatà, figura enigmatica e apparentemente senza storia — è morta. Di nuovo. Sì, perché Colette era già “ufficialmente” deceduta tre anni prima. Eppure, il corpo ritrovato è proprio il suo. Chi allora è sepolto nella sua tomba? Da qui prende il via un’indagine familiare che si snoda attraverso audiocassette misteriose, segreti del passato e un coro di personaggi che sembrano usciti da un mosaico cinematografico.

Il romanzo è un grande omaggio al cinema, e si avverte l’amore sincero della Perrin per la settima arte, con citazioni, dettagli tecnici e atmosfere da sceneggiatura d’autore. Ma la mole di riferimenti e intrecci rischia di far perdere la bussola. Non tutti i fili vengono dipanati in modo soddisfacente: alcuni restano sospesi, altri si annodano su loro stessi. Il lettore finisce per arrancare, tra un circo degli orrori, deportazioni naziste, subdoli crimini e partite di calcio di provincia. Tanta carne al fuoco, ma non sempre ben rosolata.

Il punto di forza: l’atmosfera emotiva

Nonostante la complessità della trama, Perrin riesce ancora una volta a toccare temi universali: l’identità, la memoria, la famiglia, il bisogno di verità. C’è una malinconia dolce e sottile che attraversa le pagine, una luce che filtra tra le ombre del mistero. Agnès, la protagonista, è ben delineata e umana, e alcune riflessioni intime sul lutto, sul tempo e sulle radici sono davvero riuscite.

Chi ama le saghe familiari e i romanzi corali, qui troverà senz’altro materiale emotivo su cui riflettere. Ma chi cerca una trama compatta, coerente e ben costruita potrebbe rimanere deluso.

Tatà: promossa o bocciata?

Tatà è un romanzo che si muove tra passato e presente con ambizione. Forse troppa. Valérie Perrin resta una narratrice capace, ma in questo caso si è lasciata un po’ prendere la mano dal desiderio di stupire. Il risultato è una storia che in alcuni tratti emoziona, ma in altri stanca. Non tutti gli enigmi trovano una risposta. Non tutti i personaggi lasciano il segno.

Un libro che piacerà ai fan della scrittrice, ma che potrebbe risultare dispersivo per chi la legge per la prima volta. Una lettura da affrontare con pazienza… e con un quaderno per tenere traccia dei personaggi.

Una nota personale: perché non mi ha convinta del tutto

Lo ammetto: sono partita con aspettative alte, perché la Perrin in passato mi ha saputo incantare. Ma questa volta qualcosa si è inceppato. L’ho trovato troppo contorto, quasi forzato. Il numero di personaggi e di trame collaterali mi ha dato la sensazione che si stesse cercando di costruire un enigma su più piani… ma senza mai sbrogliare davvero i nodi. Non si tratta di confusione narrativa, ma di una certa mancanza di equilibrio tra profondità e chiarezza. Alcuni elementi sembrano messi lì più per stupire che per far crescere la storia.

Insomma, Tatà è un libro che ha sicuramente il suo pubblico. Ma io, personalmente, sono rimasta con l’impressione di un’occasione mancata. Un romanzo che poteva essere potente, e invece è diventato un esercizio di stile un po’ troppo affollato.

Barbara Piergentili
(account Instagram: letture_barbariche)


“LA REGINA DEI SENTIERI” DI MARCO MALVATI E SAMANTHA BRUZZONE LEGGI LA RECENSIONE

'In campo con Flavio' - Bologna-Juve: lo scontro Champions finisce in parità

‘In campo con Flavio’ – Bologna-Juve: lo scontro Champions finisce in parità

‘In campo con Flavio’ – Bologna-Juve: lo scontro Champions finisce in parità

‘In campo con Flavio’ – Bologna-Juve: lo scontro Champions finisce in parità

Serie A

Al Renato Dall’Ara di Bologna si è giocata Bologna-Juve.
Un crocevia importantissimo per la Champions League, che potrebbe definitivamente mettere il sigillo sulla qualificazione di una delle due squadre.
Da una parte il Bologna, in un momento di forma brillante, che potrebbe tornare a vincere una coppa dopo più di 60 anni.
Dall’altra la Juve, che ha vissuto una stagione travagliata: prima con Thiago Motta in panchina, che non ha portato i risultati sperati, poi con Tudor, che ha rimesso in riga i calciatori e sta ottenendo risultati positivi.
Italiano tiene ancora in panchina Castro e Dominguez, a cui preferisce Dallinga e Cambiaghi, entrambi in un ottimo momento di forma.
Lato Juve, invece, non recuperano Koopmeiners e Vlahovic dai rispettivi infortuni; oltre a loro manca lo squalificato Yildiz.

La partita inizia con la Juve che impone subito ritmi più alti, maggiore intensità e più voglia di segnare, mentre il Bologna preferisce restare nella propria metà campo, attendere e poi provare ad alzare il baricentro per colpire.
Con la sua manovra corale, la Juventus mette in seria difficoltà il centrocampo del Bologna, con Freuler che prende il trequartista (Nico Gonzalez) e Ferguson che pressa i due mediani, Thuram e Locatelli.
Il pressing dello scozzese non funziona e al 9° minuto passa la Juve con Kephren Thuram.
Dal limite dell’area, il francese prova il destro che batte uno Skorupski non perfetto, che si lascia sfuggire troppo facilmente il pallone.

Dopo il gol, le due squadre si concentrano sul piano tattico, con duelli fisici a centrocampo e tanti calci d’angolo da una parte e dall’altra.
Si mette in risalto anche il duello Lucumí-Kolo Muani, spesso vinto dal colombiano, tra i migliori in campo nel match.
In ombra invece l’attaccante francese, che in questa partita non riesce a lasciare il segno.
Nel finale di primo tempo viene annullato un gol a Nico Gonzalez, per netta posizione di fuorigioco.
Il primo tempo, come detto, molto tattico, si chiude sullo 0-1.

Il Bologna rientra in campo con più determinazione rispetto al primo tempo, con un giro palla più rapido ed efficiente, subito proiettato a innescare il reparto avanzato.
Al 51° viene ancora annullato un gol alla Juve, stavolta a Cambiaso, anche lui in fuorigioco.
Ora è il Bologna a fare la partita, mentre la Juventus in questa fase tende a giocare di ripartenza.
Al 54°, pareggiano i rossoblù.
Cross al millimetro di Cambiaghi che favorisce la sponda di Dallinga.
Il passaggio dell’olandese arriva a Freuler che, senza esitare, calcia forte di destro e, complice una deviazione decisiva di Veiga, la palla entra in rete. Lo svizzero trova così il suo primo gol stagionale, pesantissimo.

Ora la Juventus rialza il baricentro e ha una sola intenzione: vincere.
I bianconeri schiacciano il Bologna, che non riesce a ripartire ed è costretto, pur con una difesa organizzata, a soffrire.
Si esalta Skorupski con una gran parata su Alberto Costa, ma per il resto il portiere polacco è poco impiegato e tocca pochi palloni.
L’unica vera occasione pericolosa è del Bologna: viene murata la conclusione di Cambiaghi, ma poi Ferguson, da ottima posizione, ha la palla del vantaggio e la spreca sparando alto.

Finisce 1-1 lo scontro Champions, un pareggio che non soddisfa nessuna delle due, date le vittorie di Roma e Lazio, rispettivamente contro Fiorentina ed Empoli.
È ancora apertissima la lotta per il quarto posto: Bologna, Juve, Lazio, Roma e forse anche Fiorentina e Milan (seppur più staccate) si contenderanno quel posto Champions fino all’ultima goccia di sudore.

‘IN CAMPO CON FLAVIO’ – THIAGO MOTTA E LA JUVE: UN MATRIMONIO GIA’ AL CAPOLINEA?

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