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“Soul” la recensione del film disponibile su Disney Plus

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“Soul” la recensione del film disponibile su Disney Plus

“Soul” la recensione del film disponibile su Disney Plus

Disponibile su Disney Plus

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Regia: Pete Docter
Voci italiane: Paola Cortellesi, Neri Marcorè, Perla Liberatori, Federica De Bortoli, Oliviero Dinelli, Ludovica Modugno, Rosella Izzo, Jonis Bascir, Fabrizio Vidale, Paola Egonu
Genere: Animazione, commedia, drammatico, avventura
Durata: 100 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

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La trama

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Joe è un insegnante di musica in una scuola media, che desidera suonare nel famoso jazz club di New York The Blue Note. Joe perderà la vita mettendo involontariamente il piede sbagliato in una grata fognaria aperta. Ma la morte non rappresenterà la fine del suo viaggio. Quando l’anima di Joe lascerà il suo corpo, inizierà un nuovo sorprendente viaggio, che porterà la sua anima in un regno cosmico, il Seminario ‘You’. Dove vengono create e perfezionate le anime.

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Il nostro giudizio

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Tra tutti gli autori di casa Pixar, Pete Docter è quello a cui piace occuparsi di temi che hanno a che vedere con la metafisica e, perché no, anche con la filosofia. In “Soul” prova a fare il colpaccio, ovvero far digerire tematiche molto care al pubblico adulto pure alla platea dei bambini. Nonostante i lodevoli sforzi grafici e qualche trovata furbetta come, ad esempio, l’inserimento estemporaneo del personaggio del gatto, la missione non gli riesce completamente.

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Siamo, infatti, molto lontani dalla perfezione contenutistica di “Coco” e a due spanne di distanza dalla qualità dal suo “Inside Out” dove, invece, riuscì a far coincidere perfettamente psicologia e cinema per l’infanzia. “Soul”, invece, rimane un film dedicato soltanto ai più grandi, sia per il messaggio finale che per il linguaggio usato per raccontare il viaggio ultraterreno del protagonista. Un protagonista, tra l’altro, piuttosto deboluccio, perché non ha sufficiente e carisma per portare il pubblico ad empatizzare con lui e nemmeno una sufficiente carica di cattiveria per giustificarne la ‘redenzione’ finale.

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E’ convincente, invece, il parallelismo tra la musica jazz e il giusto modo di vivere la vita. La morale secondo cui è bene imparare ad affrontare l’esistenza senza spartito, come solo i grandi interpreti di questo genere musicale sanno fare, è affascinante e molto ben sublimato dal finale. Un finale che alza, anche se non di molto, la qualità di un film, tutto sommato, poco riuscito. Perché si perde in noiosissime congetture su un ‘oltremondo’ altrettanto barboso, quando poi la pellicola vuole esaltare la bellezza della vita terrena. Troppa filosofia, insomma, se lo scopo è quello di assaporare fino un fondo un gustoso trancio di pizza.

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“10 GIORNI CON BABBO NATALE” LA RECENSIONE DEL FILM SU AMAZON PRIME

Francesco G. Balzano

“10 giorni con Babbo Natale” la recensione del film su Amazon Prime

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“10 giorni con Babbo Natale” la recensione del film su Amazon Prime

“10 giorni con Babbo Natale” la recensione del film su Amazon Prime

Disponibile su Amazon Prime Video 

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Regia: Alessandro Genovesi
Cast: Fabio De Luigi, Valentina Lodovini, Diego Abatantuono, Angelica Elli, Matteo Castellucci, Bianca Usai
Genere: Commedia
Durata: 100 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

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La trama

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Dopo “10 giorni senza mamma” ritorna la famiglia Rovelli riunita per un’avventura natalizia, che li porterà lontano da casa. Ultimamente Carlo (Fabio De Luigi) e Giulia (Valentina Lodovini) si ritrovano spesso a discutere sulla divisione delle mansioni da svolgere a casa e in famiglia. Soprattutto perché lei ha ripreso di recente a lavorare ed è rimasto principalmente lui a occuparsi dei figli e delle faccende domestiche. A Carlo, però, questo ruolo di “mammo” tuttofare proprio non va giù e decide così di trovarsi anche lui un impiego. Purtroppo le sue speranze cadono miseramente, quando Giulia gli rivela che potrebbe ricevere una promozione, che la porterebbe a trasferirsi in Svezia. Il colloquio per questo posto si tiene a Stoccolma il 24 dicembre, impedendo alla famiglia di trascorrere insieme le festività natalizie.

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Il nostro giudizio

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In “10 giorni con Babbo Natale” Alessandro Genovesi affronta un tema molto spinoso e lo fa con enorme coraggio. Perché parlare di famiglia numerosa e lavoro, senza mai lasciarsi andare a facili estremismi, raccontando solo la realtà per ciò che è, non risulta mai impresa facile, anzi. E’ un dato di fatto che una coppia giovane, desiderosa di tirar su una famiglia tanto bella quanto numerosa debba fare delle rinunce. Si, ma chi è chiamato al maggior sacrificio? L’uomo o la donna? Capite bene, dunque, che addentrarsi in certe tematiche senza sposare nessun campanilismo è davvero impresa (quasi) impossibile.

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Solo per aver mantenuto il giusto equilibrio, insomma, Alessandro Genovesi dovrebbe ricevere molti complimenti. Anche perché, almeno in apparenza, con “10 giorni con Babbo Natale”, si mette in una posizione piuttosto scomoda. Se, infatti, in “10 giorni senza mamma” aveva, in maniera sacrosanta, redarguito quei tanti padri che, con la scusa del lavoro, si dimenticano di essere genitori, stavolta rivolge la medesima reprimenda anche alle madri. Perché Giulia è talmente presa dalla sua carriera da abbandonare totalmente la prole, lasciandola alle cure del marito Carlo. Persino durante le festività natalizie. Dove comincia, dunque, il labile confine tra realizzare sé stessi e dedicarsi ai progetti di famiglia?

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Attenzione: il film non vuole fare discorsi basati sul genere. Le mamme e i papà (i papà e le mamme) sono chiamati, in egual misura, agli stessi oneri e onori. Non è, dunque, un atto di accusa nei confronti delle donne in carriera, tutt’altro. Semmai un nuovo punto di vista, dal momento che il cinema di genere ‘natalizio’, da sempre, preferisce mettere alla berlina i papà distratti dal lavoro. Quasi come se solo gli uomini potessero arrogarsi il diritto di esibire tali ‘egoisimi’ e non anche le donne.

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“10 giorni con Babbo Natale” la recensione del film su Amazon Prime

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A questa attualissima tematica sociale “10 giorni con Babbo Natale” abbina un segmento al gusto di favola, con Diego Abatantuono nei panni di un Santa Claus a cui gli anni stanno giocando un brutto scherzo alla memoria. Un personaggio volutamente poco credibile, per far in modo che nessuno degli altri protagonisti riponga fede nella sua vera identità. La pellicola è sì commerciale e, come tutte le altre dello stesso filone, finisce col guardare i problemi solo in superficie senza scavare a fondo. Però è una pellicola che ha delle cose da dire e le dice, tutto sommato, con una buona dose di saggezza, riuscendo a mantenere il giusto equilibrio tra la crudezza dello schiaffo e la dolcezza della carezza.

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Alessandro Genovesi ritrae una famiglia piuttosto classica, per non dire stereotipata, ma, nonostante tutto (o forse proprio per questo) riesce a far affezionare lo spettatore ai personaggi. In questo nucleo stilizzato e non troppo definito, infatti, è più facile riconoscersi e compatire i piccoli e grandi dissidi rappresentati. Chi guarda si schiera, da una parte o dall’altra, chi dirige, invece, rimane al di sopra delle parti, limitandosi a raccontare col sorriso sempre a portata di mano. Questo è il grande merito del regista, aiutato, in maniera imprescindibile, dalle convincenti interpretazioni di Valentina Lodovini e Fabio De Luigi. Proprio quest’ultimo è il vero mattatore sulla scena, in grado di dare brio e ritmo all’opera sia quando è spalleggiato dall’attrice, sia quando divide la scena col cast di giovanissimi colleghi. Il meglio di sé, però, lo dà in coppia con Diego Abatantuono, quando mette in disparte il copione e si lascia andare ad una irrestitibile improvvisazione. Un film caustico, ma dal cuore tenerissimo.

Francesco G. Balzano

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“TUTTO NORMALE IL PROSSIMO NATALE” LA RECENSIONE DEL FILM SU NETFLIX

“Tutto normale il prossimo Natale” la recensione del film su Netflix

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“Tutto normale il prossimo Natale” la recensione del film su Netflix

“Tutto normale il prossimo Natale” la recensione del film su Netflix

Disponibile su Netflix

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Regia: Roberto Santucci
Cast: Leandro Hassum, Elisa Pinheiro, Danielle Winits, Louise Cardoso, Rodrigo Fagundes, Arianne Botelho, Miguel Rômulo, José Rubens, Levi Ferreira, Lola Fanucchi, Daniel Filho
Genere: Commedia
Durata: 101 minuti
Voto: ♥♥ 1/2 (su 5)

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La trama

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Jorge (Leandro Hassum) non ama il Natale in quanto è nato proprio il 25 dicembre ma anche per via della frenesia che in questo periodo coglie la quasi totalità delle persone. La notte della vigilia sale sul tetto di casa vestito da Babbo Natale per consegnare i regali ai propri figli ma subisce una caduta dagli effetti sconvolgenti. Resterà infatti vittima di un’amnesia lunga un anno, che si interromperà soltanto il successivo 24 dicembre. Entra così in un loop temporale che lo fa risvegliare a ogni vigilia di Natale. Senza essere a conoscenza di tutto ciò che ha combinato per il resto dell’anno. Come ad esempio gettare alle ortiche il rapporto con sua moglie Laura (Elisa Pinheiro). E mettersi con l’odiosa Màrcia (Danielle Winits), dopo essere cambiato notevolmente nel corso degli anni.

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Il nostro giudizio

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Roberto Santucci, regista brasiliano di commedie di gran successo in patria, sforna una pellicola tutta incentrata sul valore delle piccole cose. Quelle che acquistano il giusto (ed enorme) valore solo nel momento in cui, ahinoi, le perdiamo. Un argomento molto delicato e, senza dubbio commovente, che il cineasta tratta col giusto garbo e affidandosi ad un cast molto ben assortito e, a livello tecnico, anche di tutto rispetto. Tra i tanti attori presenti spiccano il protagonista, Leandro Hassum, e il quasi ‘invisibile’ ma fondamentale Levi Ferreira, nei panni del silenzioso Vô Nhanhão, personaggio solo apparentemente marginale.

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“Tutto normale il prossimo Natale” è un film ben congegnato, che può vantare una sceneggiatura armoniosa e con la giusta cadenza, almeno nella prima parte. Soffre, invece, quando, quasi inevitabilmente, deve passare dallo stile scanzonato a quello più serioso che, in un crescendo di emotività, porta al lacrimoso finale. Qui sta, in effetti, la più grande pecca di tutta l’operazione. Cioè nell’iniziare con una visione irrispettosa e spassosamente punk della ‘sacralità’ del Natale per finire, poi, con la melensità (anche eccessiva) tipica di questo periodo dell’anno. Come, per intenderci, se una puntata de “I Griffin” regalasse un finale benevolo nello stile de “I Robinson”.

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“Tutto normale il prossimo Natale” la recensione del film su Netflix

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Tutto questo, sia chiaro, non rovina affatto la gradevolezza della pellicola, che rimane una bella sorpresa del catalogo Netflix. Lascia, però, spiazzato (e non in senso positivo) lo spettatore questo deciso cambio di registro, che sembra voler forzare lo spettatore alla commozione. Si può, in sostanza, scrivere un film ‘politicamente scorretto’ sul Natale senza dover virare su toni più convenzionali al tema. Per quanto riguarda il cast, poi, dicevamo della convincente interpretazione del protagonista, Leandro Hassum, considerato ‘il Jim Carrey carioca’, per via della sua ‘faccia di gomma’.

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Una caratteristica assolutamente apprezzabile e molto utile nella parte comica e scorretta del film. Ma “Tutto normale il prossimo Natale” è anche un’opera dalle venature drammatiche, una tonalità del racconto che richiedeva di agire di sottrazione nella recitazione e non andare sopra le righe come, invece, fa lui. Soprattutto perché, intorno a lui, ci sono personaggi essenziali, quasi maschere senza profondità. La mancanza di moderazione è utile a strappare qualche risata in più, ma assolutamente fuori luogo nei momenti dolorosi. Facezie, comunque, forse un eccesso di acidità nella tastiera di chi digita, perché, è bene ripeterlo, stiamo parlando di un film gradevole e che merita di essere visto. Attenzione, però, per tematiche e toni non è assolutamente adatto ai bambini. Semmai è un buon modo per ammonire i grandi a non scordare mai di esserlo stati.

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“QUALCUNO SALVI IL NATALE 2” LA RECENSIONE DEL FILM SU NETFLIX

“Qualcuno salvi il Natale 2” la recensione del film su Netflix

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“Qualcuno salvi il Natale 2” la recensione del film su Netflix

“Qualcuno salvi il Natale 2” la recensione del film su Netflix

Disponibile su Netflix

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Regia: Chris Columbus
Cast: Kurt Russell, Goldie Hawn, Darby Camp, Jahzir Bruno, Julian Dennison, Judah Lewis, Kimberly Williams-Paisley, Tyrese Gibson, Patrick Gallagher, Christy St. John, Danny Dworkis, Tricia Munford
Genere: Avventura, Commedia
Durata: 115 minuti
Voto: ♥♥ 1/2 (su 5)

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La trama

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“Qualcuno salvi il Natale 2”, film diretto da Chris Columbus, racconta di come Kate Pierce (Darby Camp), un tempo bambina curiosa, sia diventata un’adolescente cinica. La ragazza si appresta a festeggiare il Natale insieme alla madre, al suo nuovo compagno e al figlio di quest’ultimo, Jack (Jahzir Bruno). Ma Kate non è molto entusiasta di questa “nuova” famiglia e, stanca di sopportare le dinamiche familiari venutasi a creare con l’arrivo di Jack e del padre, decide di scappare. Non immagina che Babbo Natale (Kurt Russell) andrà a cercarla per chiederle di aiutarlo a salvare il Natale…

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Il nostro giudizio

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Dopo il (molto) deludente primo capitolo, Chris Columbus prende in mano le redini del progetto e sforna il classico film natalizio. Un prodotto senza alti e con qualche basso, buono soltanto per tenere a casa le famiglie in queste festività anomale caratterizzate dalla pandemia in corso. La trama scorre scontata dall’inizio alla fine, senza regalare il minimo sussulto allo spettatore, che si ritrova compiaciuto in ogni sua aspettativa. Di veramente valido, insomma, c’è soltanto il lato tecnico (costumi ed effetti speciali, in particolare) e il marchio di fabbrica del regista, ovvero quell’innata capacità di dirigere al meglio gli attori bambini ed adolescenti.

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Chris Columbus, però, fallisce nel dipanare al meglio la trama, perché non si preoccupa minimamente di ingarbugliarla per, poi, scioglierla. Preferisce, invece, seguire una linea che scorre sempre dritta sulla via della prevedibilità. Rispetto alle sue classiche storie natalizie del passato, poi, manca quasi totalmente il sottotesto. “Qualcuno salvi il Natale 2”, in fondo, non vuole raccontare niente oltre ciò che si vede, è un film annoiato che, però, riesce a catturare l’attenzione. Merito soltanto di un CGI a misura di bambino, capace di rapire gli occhi dei più piccoli trascinando, stancamente, la pellicola al traguardo finale.

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Da citare, in negativo, la scena dell’aeroporto (davvero il punto più basso in ogni senso, soprattutto estetico). Ma anche l’epilogo è davvero di una bruttezza rara, con una melensità degna dei peggiori spot natalizi che, anche quest’anno, stanno invadendo i nostri televisori. Cosa rimane, dunque, da salvare? Poco o nulla, ma è quel tanto che basta per non sbadigliare troppo e distrarci, per un paio d’ore, dalle brutte notizie. Di questi tempi è abbastanza per strappare una sufficienza, per quanto estremamente stiracchiata.

Francesco G. Balzano

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“STO PENSANDO DI FINIRLA QUI” LA RECENSIONE DEL FILM SU NETFLIX

“La vita davanti a sé” scheda recensione trailer e link per lo streaming del film Netflix

“La vita davanti a sé” scheda recensione trailer e link per lo streaming del film Netflix

“La vita davanti a sé” scheda recensione trailer e link per lo streaming del film Netflix

Disponibile su Netflix

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Genere: Drammatico
Anno: 2020
Regia: Edoardo Ponti
Attori: Sophia Loren, Ibrahima Gueye, Renato Carpentieri, Massimiliano Rossi, Abril Zamora, Babak Karimi
Paese: Italia
Durata: 94 minuti
Produzione: Palomar
Voto: 9.1 (su 10)

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La trama

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Madame Rosa (Loren) è una superstite dell’Olocausto che si prende cura di bambini in difficoltà. Accoglie in casa sua a Bari il dodicenne Momo, un ragazzino di strada che l’ha derubata. Questi due spiriti solitari impareranno a proteggersi l’un l’altro, diventando un’insolita famiglia. Comunque, Madame Rosa (Loren) è una superstite dell’Olocausto che si prende cura di bambini in difficoltà. Accoglie in casa sua a Bari il dodicenne Momo, un ragazzino di strada che l’ha derubata. Questi due spiriti solitari impareranno a proteggersi l’un l’altro, diventando un’insolita famiglia.

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Madame Rosa (Loren) è una superstite dell’Olocausto che si prende cura di bambini in difficoltà. Accoglie in casa sua a Bari il dodicenne Momo, un ragazzino di strada che l’ha derubata. Questi due spiriti solitari impareranno a proteggersi l’un l’altro, diventando un’insolita famiglia. Comunque, Madame Rosa (Loren) è una superstite dell’Olocausto che si prende cura di bambini in difficoltà. Accoglie in casa sua a Bari il dodicenne Momo, un ragazzino di strada che l’ha derubata. Questi due spiriti solitari impareranno a proteggersi l’un l’altro, diventando un’insolita famiglia.

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Link per lo streaming legale e trailer

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Per vedere “La vita davanti a sé” in streaming legale basta cliccare sul link in maiuscolo subito dopo il trailer della serie.

A cura di Francesco G. Balzano

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“LA VITA DAVANTI A SE'” LINK LEGALE PER GUARDARE IL VIDEO DEL FILM NETFLIX

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“LA REGINA DEGLI SCACCHI” SCHEDA RECENSIONE TRAILER E LINK PER LO STREAMING DELLA SERIE NETFLIX

“Rocketman” recensione film

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“Rocketman” recensione film

“Rocketman” recensione film

Disponibile su Amazon Prime Video

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Regia: Dexter Fletcher
Cast: Taron Egerton, Jamie Bell, Richard Madden, Bryce Dallas Howard, Gemma Jones, Steven Mackintosh, Tom Bennett, Charlie Rowe, Stephen Graham, Tate Donovan, Matthew Illesley, Kit Connor, Jason Pennycooke, Harriet Walter
Genere: Biografico, drammatico, musicale
Durata: 121 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

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La trama

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Il film racconta la storia di Elton John. Ripercorrendo la sua vita dagli albori della Royal Academy of Music, in cui era un timido e talentuoso pianista, fino agli anni ottanta, momento di massimo splendore della sua carriera. Iniziando con dei flashback, partendo dal momento in cui Elton fa parte del gruppo di recupero nella rehab in cui si ricovera nel 1983 per abuso di alcol e droga. L’artista parla di sé stesso nella Londra di metà anni cinquanta, dove era ancora conosciuto con il nome di Reginald Dwight.

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Il nostro giudizio

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Parlare di “Rocketman” senza fare nemmeno un paragone con “Bohemian Rhapsody” è praticamente impossibile. Perché il regista Dexter Fletcher è lo stesso che ha preso il posto di Bryan Singer, licenziato in tronco durante la lavorazione del biopic sui Queen e Freddie Mercury. Visto il grande successo ottenuto da quest’ultimo, è stato proprio lo stesso Elton John a scegliere il medesimo autore per mettere in scena la sua vita al cinema.

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Un paragone, dicevamo, tanto obbligato quanto ingeneroso, perché Fletcher sceglie di seguire una strada completamente diversa da quella intrapresa in “Bohemian Rhapsody”. Se, infatti, in quel caso scelse di rimanere fortemente attaccato alla realtà, in “Rocketman” opta per un musical che chiede molto in prestito alla fantasia. Una scelta che sembra dettata dal voler seguire le vicende con gli occhi allucinati del protagonista. Protagonista che appare sin da subito come un supereroe della Marvel, ovvero dotato di un grande superpotere (quello della Musica) dal quale derivano enormi responsabilità, troppo difficili da portare su due spalle soltanto. L’opzione musical, però, per assurdo, va a penalizzare proprio le canzoni, soprattutto le più iconiche. La volontà di far ascoltare le hit più celebri (pure quelle trascurabili) fa sì che pietre miliari della sua discografia (“Your Song” e la title song, su tutte) scorrano quasi senza lasciare traccia.

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La bellezza di “Rocketman” sta nella volontà di non voler nascondere le tante (troppe) debolezze di Elton John. Ecco, dunque, che non ci vengono risparmiati abuso di droghe, alcol e tentati suicidi. Tutto qui viene reso evidente, dal carattere scorbutico dell’artista fino (evviva!) alla sua omosessualità, vissuta e raccontata senza alcuna ‘censura’. Decisamente meno apprezzabile, invece, è il tono assolutorio che la pellicola mostra nel giustificare le scelte autodistruttive del musicista.

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“Rocketman” recensione film

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Sebbene non si possa parlare di ‘agiografia’ di Elton John, bisogna però dire che è fin troppo evidente che ad orchestrare l’intero progetto ci sia la sua mano. A guardare il film, infatti, pare che dietro la sua caduta nel tunnel di alcol e droga ci sia soltanto la mancanza d’affetto, riscontrata da bambino e proseguita in età adulta. Un anatema lanciato dalla madre che l’ha condannato a non essere amato, come se non esistesse, al contempo, un libero arbitrio che è l’unica bussola delle scelte di qualsiasi essere umano. Che le colpe dei padri (e delle madri) ricadano sui figli, insomma, è una teoria tutta da dimostrare.

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Ma in “Rocketman” viene data per assunta, ed allora il protagonista è costantemente dipinto come vittima degli eventi, come la gallina dalle uova d’oro da sfruttare. Una via d’uscita facile da intraprendere e persino un espediente ottimo per rendere la sua vita un perfetto esempio di romanzo cinematografico. Da evidenziare, poi, le ottime scelte fatte in fase di casting, perché la crescita di Elton John è raccontata coi volti giusti sia nell’età infantile che in quella adulta. Taron Egerton e i suoi giovanissimi colleghi, infatti, sono molto somiglianti e perfettamente calati nella parte. Tutto bello, insomma, ma, probabilmente, una maggiore sincerità avrebbe reso il film di un livello superiore a un prodotto di buona fattura per accattivarsi, ancor di più, la simpatia dei fan.

Francesco G. Balzano

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“STO PENSANDO DI FINIRLA QUI” RECENSIONE FILM

“Sto pensando di finirla qui” recensione film

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“Sto pensando di finirla qui” recensione film

“Sto pensando di finirla qui” recensione film

Disponibile su Netflix

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Regia: Charlie Kaufman
Cast: Toni Collette, Jesse Plemons, Jessie Buckley, David Thewlis, Jason Ralph, Colby Minifie, Abby Quinn, Guy Boyd
Genere: Drammatico, grottesco
Durata: 134 minuti
Voto: ♥♥♥ 1/2 (su 5)

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La trama

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Una giovane donna si mette in viaggio insieme al suo nuovo fidanzato Jake per per conoscere la famiglia del ragazzo. Nonostante il grande passo, i due non stanno insieme da molto e la ragazza è incerta sul loro rapporto. Nonostante il grande passo, i due non stanno insieme da molto e la ragazza è incerta sul loro rapporto. Quando arrivano nell’isolata fattoria di famiglia, una bufera costringe i due fidanzatini bloccati in casa insieme ai genitori di lui, che non si rivelano essere come lei si aspettava…

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Il nostro giudizio

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Ormai da decenni, Charlie Kaufman, uno degli artisti più ispirati che bazzicano Hollywood, mette in scena dei viaggi esistenziali profondi e spiazzanti. Inutile parlare di sceneggiatura con lui, perché più che raccontare lascia scorrere liberamente dei flussi di coscienza. Questi, piano piano, prendono il largo dopo aver rotto ogni fragile argine costruito dallo script, per addentrarsi, senza alcun freno, in ogni meandro dell’animo umano. Così, lo spettatore si ritrova perso in un labirinto di specchi, dove ad ogni anfratto si nascondono ansie esistenziali ed idee poco rassicuranti di inevitabili fallimenti. Probabilmente, l’intelligenza è la più grande nemica di Kaufman, perché le troppe domande che pone a sé stesso e agli altri lo hanno condannato ad un’infelicità di fondo, pronta ad emergere in ogni tappa della sua geniale filmografia.

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Stavolta, Kaufman è angosciato soltanto (si fa per dire) da una domanda: esiste vita al di fuori della nostra mente? Una risposta, il regista la fa dare al suo protagonista, Jake: “È bene ricordare a se stessi che il mondo è più grande di ciò che abbiamo in testa”. Tutto risolto, dunque? Ma nemmeno per sogno, perché questa frase è solo l’inizio di un viaggio nel quale il regista ci conduce nei meandri più cupi e inspiegabili dell’essere umano. “Sto pensando di finirla qui” è il suo film più disorientato e disorientante, dove è difficile prendere punti di riferimento ed usarli per comprenderne a fondo il significato.

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“Sto pensando di finirla qui” recensione film

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Già, perché un vero e proprio senso la pellicola non lo ha. Vuole essere, in sostanza, un road movie nei posti più gelidi della mente umana. “Sto pensando di finirla qui” comincia come un banalissimo film romantico, in cui una coppia fresca di formazione si mette in viaggio per far conoscere lei ai genitori di lui. Ma Kaufman utilizza i personaggi nati dalla penna Iain Reid e li conduce nel suo mondo nevrotico e li mette in fuga dalla realtà per trasportarli nella metafisica, in un mondo (simboleggiato da una fattoria) dove le loro esistenze saranno scomposte e ricomposte.

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Così, quando i due piccioncini troveranno, apparentemente, riparo dalla bufera in casa dei genitori di lui, nulla sarà come prima. Toni Collette e David Thewlis sono una madre ed un padre grotteschi, capaci di trasmettere un insopportabile senso di disagio agli spettatori in chiave tragicomica. Il regista si diverte nel ridere cinicamente di questo imbarazzo e, allo stesso tempo, confonde le carte e spariglia il banco mettendo in discussione tutto. Lo spettatore, in quelle quattro mura, perde completamente la bussola e si ritrova perso in un gioco dove non ci sono regole a cui appigliarsi. Il segreto è perdersi e lasciarsi trasportare, di nuovo, fuori, nel gelo che circonda i due protagonisti.

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“Sto pensando di finirla qui” chiede un grosso, enorme, quasi impraticabile sforzo a chi guarda: non porsi domande e, piuttosto, ascoltare e vedere per il solo piacere di farlo. Del resto, Kaufman, nei suoi film, non si è mai preso la briga di voler spiegare qualcosa. Semmai, preferisce elargire visite guidate nella sua mente. Una mente bellissima e complicata, capace persino di commuovere qualche visitatore piuttosto sensibile. Ma è una mente in cui nessuno, a pensarci bene, vorrebbe abitare.

Francesco G. Balzano

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“LA MIA VITA DA ZUCCHINA” RECENSIONE FILM

“La mia vita da zucchina” recensione film

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“La mia vita da zucchina” recensione film

“La mia vita da zucchina” recensione film

Disponibile su: Amazon Prime Video

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Regia: Claude Barras
Voci italiane: Lorenzo D’Agata, Lucrezia Roma, Riccardo Suarez, Stefano Mondini, Gabriele Meoni, Chiara Fabiano, Luca Tesei, Anita Ferraro, Barbara Salvucci, Paola Giannetti, Fabrizia Castagnoli, Riccardo Scarafoni
Genere: Animazione, Commedia, Drammatico
Durata: 66 minuti
Voto: ♥♥♥♥

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La trama

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Il protagonista della storia è un bambino di 9 anni soprannominato Zucchina. Dopo la scomparsa della madre viene mandato a vivere in una casa famiglia. Grazie all’amicizia di un gruppo di coetanei, tra cui spicca la dolce Camille, riuscirà a superare ogni difficoltà. Abbracciando infine una nuova vita.

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Il nostro giudizio

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“La mia vita da zucchina” è un film che ha molto coraggio, perché riesce a parlare di argomenti assai delicati senza mai ricorrere ad un buonismo di comodo. Racconta, infatti, una storia solo apparentemente ruvida, ma in realtà carica di una profonda umanità ed un’incredibile carica empatica nei confronti dei piccoli protagonisti. Il merito è, soprattutto, della splendida sceneggiatura ci Céline Sciamma che, con incredibile bravura, riesce a creare un perfetto mix di elementi drammatici, anche profondissimi, mitigati con una giusta dose di speranza.

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Non è facile parlare ad un pubblico di giovanissimi di un loro pari età con una vita familiare insostenibile. Nessun bambino dovrebbe sapere che esistono genitori tutt’altro che amorevoli e, anzi, deleteri per la propria crescita, come accade a Zucchina. Però è innegabile che anche questa, seppur amarissima, è una realtà. Allora, è bene indorare la pillola e dire pure che gli istituti minorili non sono sempre un inferno in terra, anzi, molte volte offrono una speranza, seppur piccola, a chi, suo malgrado, a costretto a viverci.

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“La mia vita da zucchina” recensione film

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“La mia vita da zucchina”, come se non bastasse, affronta pure lo spinosissimo tema della sessualità. Perché non è vero che le domande su cosa accade nei rapporti con l’altro sesso sono appannaggio della pubertà, ma iniziano molto prima. E la risposta non può e non deve essere pudica, ma, al contrario, libera da ogni pudore, come sono (che bellezza!) le menti dei bambini. Parlavamo di questa pellicola come di una pellicola coraggiosa, ed effettivamente è così.

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Perché si immerge nei problemi, li indaga da dentro e non li giudica da fuori. La splendida regia di Claude Barras non ha intenti moralistici. Preferisce piuttosto mettere a confronto diretto il pubblico con i suoi pupazzi in step-motion, che hanno occhi troppo grandi e innocenti per poter mentire. Splendida e commovente la cover di “Le vent nous portera” dei Noir Desir realizzata, chitarra, controbasso e vibrafono, dalla splendida voce della svizzera Sophie Hunger.

Francesco G. Balzano

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“GLI ANNI PIU’ BELLI” RECENSIONE FILM

“Gli anni più belli” recensione film

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“Gli anni più belli” recensione film

“Gli anni più belli” recensione film

Disponibile su: Sky e Now Tv

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Regia: Gabriele Muccino
Cast: Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria, Nicoletta Romanoff, Emma Marrone, Francesco Centorame, Andrea Pittorino, Paola Sotgiu, Francesco Acquaroli, Elisa Visari
Genere: Drammatico
Durata: 129 minuti
Voto: ♥ 1/2

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La trama

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La loro amicizia dura da ben 40 anni, esattamente dal 1980 ad oggi, attraversando l’adolescenza fino all’età adulta. I tre uomini sono cresciuti insieme sin da giovanissimi per poi incontrare, durante gli anni del liceo, Gemma di cui Paolo s’innamora immediatamente. La piccola comitiva ha affrontato cose belle, come speranze e successi, e momenti brutti, dovuti a delusioni e fallimenti. Ma al racconto di amicizia e di amore si intreccia inevitabilmente quella che è stata la storia d’Italia e di conseguenza degli Italiani in questi ultimi decenni.

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Il nostro giudizio

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Sembra un concept album di Baglioni, non a caso citato tre volte, ma, in realtà “Gli anni più belli” è solo il solito, ripetitivo film di Gabriele Muccino. Nelle intenzioni del regista, probabilmente, la pellicola doveva essere un racconto fiume degli ultimi 40 anni di storia italiana, vista attraverso gli occhi dei quattro protagonisti. Il problema, però, è che la Storia scorre parallela ai personaggi, non li sfiora minimamente e offre, al più, i riferimenti temporali alla vicenda. Giulio, Paolo, Riccardo e Gemma, poi, sono figure senza spessore, non hanno caratteristiche interessanti e nemmeno storie così accattivanti alle spalle. Di conseguenza, il film scorre senza sussulti, con svolte sempre prevedibili e spesso insignificanti. Non manca, comunque, il marchio di fabbrica di Muccino, diventato ormai quasi un elemento parodistico.

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Il riferimento è, ovviamente, alla costante recitazione sopra le righe dei personaggi. Nelle idee del cineasta romano non c’è spazio mai (proprio mai!) per uno scambio di battute pacato. Ogni dialogo deve avvenire, rigorosamente, urlando e con ampio ricorso alla fisicità dell’alterco. La telecamera non sta mai ferma e si muove con la stessa isteria di chi viene immortalato. Insomma, Muccino propone sempre la medesima solfa e trova, immancabilmente, qualche amatore pronto a incensarne le opere. La verità, però, è che il regista non propone qualcosa di nuovo dal 2003, quando con “Ricordati di me” (film buono, ma di certo non memorabile) sublimò le tematiche già proposte nei precedenti “L’ultimo bacio” e “Come te nessuno mai”. Da allora c’è un grande vuoto creativo, celato in maniera maldestra da un timbro, sempre lo stesso, che ormai fatica a lasciare persino un minimo di segno.

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“Gli anni più belli” recensione film

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Alla sua filmografia manca terribilmente un qualcosa che innalzi l’aurea mediocritas sulla quale si appoggia da sempre, senza mai osare o tentare un guizzo. La sensazione, anzi ormai si può parlare tranquillamente di certezza, è che anche ne “Gli anni più belli” si raccontino sempre le stesse storie e le stesse dinamiche. L’infelicità gioca a nascondino con la depressione, il matrimonio è sempre infelice e i rapporti sociali sono sporchi di rancore vomitato e poi ripulito alla bene e meglio. Rispetto agli altri suoi film, poi, Muccino qui non può contare nemmeno su protagonisti in stato di grazia. Nonostante Favino, Rossi Stuart e Santamaria siano tra i migliori interpreti del nostro cinema, ne “Gli anni più belli” appaiono tutti poco convinti e coinvolti, quasi come se avessero azionato il pilota automatico. Quasi, insomma, come se fossero stanchi, assuefatti alla prevedibilità che sono chiamati a mettere in scena. Come dargli torto, del resto…

Francesco G. Balzano

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“AFTER 2” RECENSIONE FILM

“After 2” recensione film

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“After 2” recensione film

“After 2” recensione film

Distribuzione: 01distribution.it

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Regia: Roger Kumble
Cast: Josephine Langford, Hero Fiennes Tiffin, Dylan Sprouse, Louise Lombard, Charlie Weber, Candice King, Selma Blair, Rob Estes, Samuel Larsen, Pia Mia, Dylan Arnold
Genere: Drammatico, sentimentale
Durata: 105 minuti
Voto: ♥

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La trama

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Abbiamo lasciato Tessa e Hardin in riva al lago con quella romantica frase con cui lui le dichiarava il suo amore. In questo nuovo capitolo i due dovranno affrontare diverse sfide per tornare non uniti come prima, ma più di prima. Tessa suscita l’interesse di altri ragazzi, disposti a farle dimenticare Hardin, ma non soltanto la sua sfera sentimentale è un completo caos. Un improvviso ritorno, infatti, sconvolgerà la ragazza: qualcuno che non vedeva da tempo farà capolino nella sua vita, senza alcun preavviso. Hardin invece ha disperatamente bisogno di lei e, sebbene Tessa provi a perdonarlo, non sa ancora quali terribili segreti nasconde il passato del ragazzo…

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Il nostro giudizio

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“After 2” è una benedizione per gli esercenti cinematografici che, in un momento assai complicato, sono riusciti a staccare parecchi biglietti. Persino più dell’attesissimo (anche se deludente) “Tenet” di Christopher Nolan, per capirci. Allo stesso tempo, però, “After 2” è una maledizione per il cinema, inteso come settima arte. Se esistesse una scuola che insegna come non si fa un film, questa pellicola sarebbe una pietra miliare da far vedere e rivedere per mettere in guardia gli studenti. Il regista Roger Kumble (“Cruel Intentions” e “Cruel Intentions 2”) deve aver preso un colpo di sole, o aver avuto urgente bisogno di soldi, altrimenti non si spiega come possa esser caduto così in basso. Talmente tanto che, dopo aver toccato il fondo, ha cominciato a scavare ancora un po’.

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C’è da dire che, negli ultimi anni, siamo stati abituati davvero male e la situazione è andata peggiorando di pellicola in pellicola. In principio fu “Twilight”, poi iniziò la discesa vertiginosa con “50 sfumature di grigio” e ora affoghiamo nella melma grazie all’apparizione di due personaggi che definire squallidi equivale a complimentarsi. Si tratta, ovviamente, di Tessa e Hardin. Se nel primo film si limitavano ad essere due fessacchiotti di proporzioni cosmiche, in questo sequel si lasciano andare completamente all’idiozia. In tale, non facile, operazione sono molto aiutati da una sceneggiatura infarcita di battute grevissime, prive di vis comica e momenti di pseudo commozione che lasciano impassibili.

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“After 2” recensione film

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C’è, inoltre, un focus poco tecnico e molto filosofico da fare. Hardin è davvero uno dei pesonaggi più melmosi inventati nella storia del cinema. Risulta davvero impossibile capire come una ragazza possa rimanere attratta da questo Fonzie di periferia fuori tempo massimo e con evidenti problemi di alcolismo. Eppure è esattamente ciò che accade sia sul grande schermo, sia presso le giovani spettatrici che sono accorse in sala. La sceneggiatura gli attribuisce un pesante trauma infantile, per giustificare il suo comportamento sconsiderato e provare a far scattare nel pubblico un sentimento di compassione.

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Mossa azzardata, perché gente come lui non va compatita, ma seriamente e urgentemente aiutata. Qualsiasi persona dotata di un minimo di sale in zucca (non come Tessa, quindi) starebbe lontana un miglio da uno stalker e potenziale omicida come lui dopo due minuti di conoscenza. E’ ora di finirla, ad ogni modo: il cinema che si rivolge agli adolescenti deve smetterla di spacciare personaggi socialmente pericolosi per miti da emulare o di cui innamorarsi.

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A fare da contraltare ad Hardin troviamo Trevor, un insipido e occhialuto commercialista che, inspiegabilmente, decide di trasformarsi in uno zerbino per Tessa, che calpesta i suoi sentimenti senza ritegno. E lo usa solo per avere sontuose quanto poco probabili agevolazioni fiscali. Pure la protagonista suscita più di una perplessità. Perché è così facile innamorarsi di una ragazza carina, sì, ma simpatica ed affabile come la sabbia nelle mutande? Rimarrà uno dei tanti segreti non svelati di questa orripilante saga. Una saga che, almeno per quanto ruguarda il secondo capitolo, non ha altro da offrire se non una sequela interminabile di disgustosi amplessi tra i due protagonisti.

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Intervallati, brevemente, da dialoghi che hanno il nauseabondo olezzo del fiato alcolico di chi li recita e di chi li ha scritti. “After 2” è un’offesa a qualsiasi cosa vi venga in mente: dal cinema alle battaglie femministe, che pensavano di aver fatto enormi passi avanti negli anni prima di imbattersi in Tessa. Il film propone un’idea di amore malato e distorto, che assomiglia molto alla dipendenza da droghe pesanti e ne ricalca persino gli effetti collaterali. Concludiamo con una minaccia: la saga prevede almeno altri tre film e nulla fa immaginare che il livello andrà migliorando. Se state pensando che è proprio vero il detto ‘al peggio non c’è mai fine’, beh, avete ragione.

Francesco G. Balzano

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“THE NEW MUTANTS” FILM RECENSIONE (NO SPOILER)

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