Tag: cinema

Carlo Verdone ‘contro’ il Coronavirus film in streaming gratis su Infinity

Carlo Verdone ‘contro’ il Coronavirus film in streaming gratis su Infinity

Carlo Verdone ‘contro’ il Coronavirus film in streaming gratis su Infinity

Antonella Catena per amica.it

È una bella lotta. Carlo Verdone e il suo umorismo contro il Coronavirus. Per dimenticarci, per lo spazio di un film, del Coronavirus. Infinity, la piattaforma di streaming, ci mette a disposizione gratis questa opportunità. Di più. In questo momento così particolare di emergenza ha raddoppiato l’offerta. Due mesi gratuiti, registrandosi su Infinitytv.it. Carlo Verdone stesso ha mandato un messaggio a tutti noi. Ci dice di restare a casa. Leggere un bel libro. Ascoltare buona musica. Guardare un bel film.

Quali pellicole di Carlo Verdone sono disponibili gratuitamente su Infinity?

Ancora meglio, aggiungiamo noi, uno dei suoi, in streaming gratis sulla piattaforma Infinity. Da “Borotalco” restaurato proprio da Infinity a “Bianco, rosso e Verdone”. Ma anche “Un sacco bello”, “Acqua e Sapone”, “Maledetto il giorno che ti ho incontrato”. E poi “Al lupo al lupo”, “Stasera in casa di Alice”, “Viaggi di nozze”. “Perdiamoci di vista” e “Sono pazzo di Iris Blond”, “Gallo cedrone”, “C’era un cinese in coma”, “L’amore è eterno finché dura”. Riguardiamoli, dimentichiamoci per due ore del Coronavirus. Riscopriamo Carlo Verdone e tutte le sue muse. Da Margherita Buy a Ornella Muti. Da Claudia Gerini a Eleonora Giorgi, protagonista proprio di Borotalco. Ma anche Asia Argento e Laura Morante.

Stiamo con lui e i suoi film in streaming gratis su Infinity. E promettiamoci che, quando l’emergenza sarà passata e torneremo al cinema, andremo a vedere il suo Si vive una volta sola. Il suo nuovo film, slittato a causa dell’epidemia di Coronavirus.

OSCAR 2020 I VINCITORI PARASITE E’ IL MIGLIOR FILM JOAQUIN “JOKER” PHOENIX RENEE ZELLWEGER BRAD PITT E LAURA DERN MIGLIORI ATTORI

Oscar 2020 i vincitori Parasite è il miglior film Joaquin “Joker” Phoenix Renée Zellweger Brad Pitt e Laura Dern migliori attori

Oscar 2020 i vincitori Parasite è il miglior film Joaquin “Joker” Phoenix Renée Zellweger Brad Pitt e Laura Dern migliori attori

Oscar 2020 i vincitori Parasite è il miglior film Joaquin “Joker” Phoenix Renée Zellweger Brad Pitt e Laura Dern migliori attori

Davide Turrini per ilfattoquotidiano.it

Trionfo Parasite. Miglior film, miglior film internazionale, miglior sceneggiatura e miglior regia. Non era mai successo nella storia degli Oscar. È il primo film non in lingua inglese a vincere nella più importante categoria tra quelle dell’Academy. Sì, certo, The artist vinse nel 2011, ma era un film muto e soprattutto ambientato totalmente ad Hollywood.

La dedica del miglior regista al Maestro Scorsese – Il film targato Corea del Sud, scritto e diretto da Bong Joon Ho è invece un vero e proprio altrove geografico e culturale. Anche se racconta qualcosa di politicamente universale come l’eterno conflitto tra differenti classi socio-economiche. Insomma, un Oscar molto marxista e poco liberista, quello del 2020. Ma soprattutto un Oscar, anzi quattro che vanno a premiare un’opera di grande cinema a livello tecnico ed estetico. Il primo Oscar, allo script di Bong, arriva quando ancora la cerimonia è agli inizi. Poi l’esplosione di premi prorompe nell’ultima mezz’ora.

La dedica di Bong a Martin Scorsese e Quentin Tarantino

Bong si deve alzare quattro volte ed ogni volta è totale sorpresa. A un certo punto quando deve ritirare la statuetta come miglior regista, surclassando Scorsese, Tarantino, Mendes e Todd Phillips gli tocca inchinarsi regalando una standing ovation per zio Marty: “Quando studiavo cinema ciò che più mi è rimasto nel cuore è la frase: più si è personali più si è creativi. E quella frase l’ha detta Scorsese che ho studiato a scuola”.

Dolby Theatre in piedi per Martin. “Ringrazio anche Quentin che ha sempre messo i miei film tra suoi preferiti”. E Tarantino ringrazia da vero fratello di sangue facendo il gesto della mano sul cuore. “Avessi una motosega dividerei l’Oscar in tante parti con tutti voi”. Bong, 50 anni, una carriera di successo nel terzo più grande sistema di produzione cinematografica al mondo, non è solo tipo da film art house come Parasite. Nel passato ha girato un blockbuster come The Host, un film drammatico come Memories of murder, ma soprattutto un film estremamente animalista come Okja, dove la protagonista salva un maiale dal macello per poi viverci insieme. Insomma, oltre l’inquadratura c’è di più.

Il discorso ultrambientalista di Joaquin Phoenix e il ricordo del fratello River

Joaquin Joker e il discorso ultrambientalista – Un po’ come ha voluto sottolineare, serissimo, Joaquin Phoenix, Oscar annunciato e meritato come miglior attore protagonista in Joker, nel suo impressionante discorso politicamente ultra-ambientalista. “Il dono più grande è l’opportunità di dare la nostra voce a chi non ha voce. Tutte le volte che parliamo di diseguaglianze di genere, razzismo, diritti LGBTQ, diritti degli animali e dei nativi, parliamo di diritti dove una specie non deve dominarne un’altra impunemente. Siamo così lontani e disconnessi dalla natura, pensiamo di essere al centro dell’universo, ci sentiamo in diritto di inseminare artificialmente una mucca. E quando gli nasce un vitello glielo rubiamo o usiamo il suo latte per i cereali al mattino”, ha spiegato Phoenix”.

“Abbiamo paura dell’idea di cambiare, pensiamo solo al sacrificio che toccherebbe a noi, ma gli esseri umani sono così pieni di inventiva. Usiamo l’amore per realizzare un sistema di vita per tutti gli esseri senzienti e l’ambiente. Nella mia vita sono stato egoista, cattivo e crudele, sono stato un collega difficile, ma la cosa più importante è darsi una seconda opportunità. Sosteniamoci insieme così verrà il meglio per l’umanità”. Joaquin ha poi concluso citando il fratello River: “Quando mio fratello aveva 17 anni scrisse: corri verso il rifugio con amore e la pace giungerà”.

Gli altri premi e la delusione per Martin Scorsese

Gli altri film e il premio a Renée Zellweger per Judy – Di fronte all’exploit di Parasite tutti gli altri film in nomination rimangono come annichiliti. 1917, sbandierato come il favorito alla vigilia, vince tre Oscar (fotografia, sonoro ed effetti speciali). A due Oscar si fermano Joker (Phoenix come miglior attore e la straordinaria colonna sonora dell’islandese Hildur Guðnadóttir); C’era una volta ad Hollywood (Brad Pitt come miglior attore non protagonista e production design); ma anche due Oscar come montaggio e sound editing per l’ingiustamente trascurato Ford vs. Ferrari di James Mangold. Ad un Oscar troviamo invece Marriage Story di Noah Baumbach (Laura Dern come attrice non protagonista); Piccole donne (costumi) e Bombshell (trucco).

Mentre a bocca asciutta rimane mestamente The Irishman di Martin Scorsese che in mezzo a tutta la compagnia di giro degli altri nominati e vincitori è parso improvvisamente un film vecchissimo e imbalsamato come mai ci era sembrato in questi mesi. Oltretutto nel solito tabellino vecchi studios vs. Netflix&Co, i vecchi studios non sembrano lasciare quest’anno granché ai nuovi arrivati, anzi. L’Oscar alla miglior attrice protagonista, telefonato anch’esso da settimane, va a Renée Zellweger che rifà in posa plastica, gobbetta e visino tra il contrito e l’alcolizzato una Judy Garland vecchio stile, che è anche un modo per Hollywood di risarcire sacrifici e tragedie all’attrice del Mago di Oz e di È nata una stella.

I look delle star

La lunga notte degli Oscar era iniziata sul red carpet dei divi con uno Spike Lee in abito viola melanzana Los Angeles Lakers (lui che è dei Knicks di New York) omaggio esplicito allo scomparso Kobe Bryant. A stretto giro di posa per i fotografi una Margot Robbie in nero mozzafiato, Scarlett Johansson in bianco panna praticamente perfetta. E un terrificante Timothée Chalamet con outfit tra pigiama e palestra. In mancanza di un vero presentatore, formula che probabilmente proseguirà nei prossimi anni, l’apertura grintosa, sontuosa e raffinata in musica di Janelle Monae ci ha abituati troppo bene. Perché la serata degli Oscar è stata sostanzialmente succinta ma terribilmente noiosa: mai uno sbaffo, mai una mezza parola oltre i limiti consentiti, mai una sorpresa.

Oscar 2020 i vincitori Parasite è il miglior film Joaquin “Joker” Phoenix Renée Zellweger Brad Pitt e Laura Dern migliori attori

L’unico sussulto imprevisto e molto comunista arriva quando viene premiato American Factory come miglior documentario. Julia Rieichert, co-regista assieme Steven Bognar, si prende lo spazio di una battuta sul mondo del lavoro: “Per i lavoratori la vita è sempre più dura. E potrà migliorare solo quando lavoratori di tutto il mondo si uniranno”. Ancora la Disney/Pixar a raccogliere l’ennesimo Oscar per l’animazione con Toy Story 4. Poi corrono tutti in scena per far chiudere presto la serata: Elton John, che tra l’altro vince il suo secondo Oscar per il brano I’m Gonna Love Me Again, tratto dal film suo biopic Rocketman, esegue un live inascoltabile; Billie Eilish che invece canta una Yesterday da brividi mentre scorrono le immagini “in memoriam” rivediamo i nostri Piero Tosi e Franco Zeffirrelli. Ma anche il grande Kirk Douglas, Peter Fonda, Terry Jones e Bibi Andersson. Infine Eminem che rilascia una scarica di adrenalina che subito si esaurisce dopo la standing ovation. Alla fine gli Oscar 2020, invece del solito florilegio post #metoo, donna-afro-LGBTQ, (a proposito niente afroamericani vincitori) parlano improvvisamente coreano. La sala applaude convinta. Un finale più inatteso di così forse nemmeno il bustone scambiato da Warren Beatty e Faye Dunaway.

“ODIO L’ESTATE” LA RECENSIONE DEL FILM

“Odio l’estate” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Odio l’estate” la recensione del film

“Odio l’estate” la recensione del film

Distribuzione: Medusa Film 

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Regia: Massimo Venier
Cast: Aldo, Giovanni, Giacomo, Lucia Mascino, Carlotta Natoli, Maria Di Biase, Massimo Ranieri, Davide Calgaro, Ilary Marzo, Michele Placido, Sabrina Martina, Melissa Marzo
Genere: Commedia
Durata: 110 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

La trama

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Tre uomini decidono di trascorrere le vacanze estive in un’isola a largo delle coste italiche, ognuno insieme alla rispettiva famiglia. Non conoscendosi, scelgono la stessa meta estiva, la stessa spiaggia e si ritrovano anche ad affittare la stessa casa…tutti nello stesso periodo. Sono totalmente diversi l’uno dall’altro. Aldo è un tamarro senza un lavoro fisso, è ipocondriaco, ha una passione per Massimo Ranieri. Vive con un cane di nome Brian, una moglie che urla invece di parlare, e i figli Ilary e Salvo. Giovanni è uno organizzato, preciso, gestisce un’impresa prossima al fallimento e viaggia con la moglie e la figlia Alessia. Infine, c’è Giacomo, medico di successo che non riesce, però, ad avere un rapporto con il figlioletto in piena pubertà.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Sembra di essere tornati tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo millennio, quando i film del trio furoreggiavano nelle nostre sale

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Dopo una pausa di poco più di 15 anni, Aldo, Giovanni e Giacomo riprendono, saggiamente, la collaborazione col loro regista di fiducia, Massimo Venier. Una scelta azzeccata, perché era l’unico modo per reindirizzare la loro vena artistica su una strada cinematografica correttamente tratteggiata. La storia è semplice ed efficace e il racconto insiste, ancora una volta ma senza annoiare, sulla loro inossidabile amicizia. Sembra di essere tornati tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo millennio, quando i film del trio furoreggiavano nelle nostre sale. La voglia, in effetti, è quella di fornire un effetto nostalgia, inserendo, però, quegli stessi personaggi nella modernità. Ecco, dunque, Giovanni alle prese con una bottega di famiglia destinata alla chiusura e Giacomo, che deve combattere da genitore non biologico con un figlio maleducato e sempre incollato all’iPad.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Odio l’estate” è il trampolino di (ri)lancio di Aldo Giovanni e Giacomo

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Con “Odio l’estate” Aldo, Giovanni e Giacomo tracciano nuove vie d’uscita per la loro comicità, che sembrava ormai segnata da una data di scadenza. Questo film è il loro trampolino di (ri)lancio, perché si, sono ancora legati a un passato che li obbliga all’autocitazionismo, però hanno anche il coraggio di osare nel parlare un linguaggio se non nuovo, almeno diverso. Soprattutto, hanno aperto il loro mondo maschile (ma mai maschilista) all’universo femminile. Finalmente, nel cast troviamo tre attrici di razza (Maria Di Biase, Carlotta Natoli e Cinzia Mascino), che entrano prepotentemente nella storia ed hanno un ruolo ben definito.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Odio l’estate” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Il trio si mette, a tratti, da parte per lasciare spazio e scena alle compagne di viaggio. La loro comicità è meno istintiva e prorompente, ma si lascia incanalare in una sceneggiatura solida e ben strutturata, dove le risate di grana grossa si sacrificano in nome di una storia gradevole. Il nuovo meccanismo, insomma, non ripudia i vecchi ingranaggi, ma toglie loro la ruggine e li olia a dovere, per farli tornare a girare come ai vecchi tempi, seppur in maniera diversa. Bene Michele Placido, che nelle sue apparizioni dimostra di avere un’ottima sintonia comica con Aldo, Giovanni e Giacomo. Piacevole, seppur molto decontestualizzata, la comparsata del sempre bravo Roberto Citran. Funziona anche il cast di giovani e giovanissimi, in particolare Edoardo Vaino (Ludovico), che dà vita ad un personaggio perfettamente caratterizzato dalla sceneggiatura.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Odio l’estate” è diretto parente di “Chiedimi se sono felice”, ma ha ambizioni più alte

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Odio l’estate” è un film maturo, tra i migliori (se non il migliore) del trio. E’ diretto parente di “Chiedimi se sono felice”, ma ha ambizioni più alte, giustificate dall’età dei tre protagonisti. Ciò, però, non equivale ad esserne all’altezza. Quando la pellicola svolta su tonalità blandamente drammatiche, infatti, sbanda e non tiene più la strada come un tempo. Nulla di grave, però, perché il coraggio va sempre premiato. Anche se costa una brutta ammaccatura su una macchina, sin lì, perfettamente stabile ed affidabile.

Francesco G. Balzano

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“FIGLI” LA RECENSIONE DEL FILM

“Figli” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Figli” la recensione del film

“Figli” la recensione del film

Distribuzione: Vision Distribution

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Regia: Giuseppe Bonito
Cast: Valerio Mastandrea, Paola Cortellesi, Stefano Fresi, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Andrea Sartoretti, Massimo De Lorenzo, Gianfelice Imparato, Carlo de Ruggeri, Betti Pedrazzi
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 97 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

La trama

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Nicola e Sara sono una coppia innamorata e felice. Sposati da tempo, hanno una figlia di sei anni e una vita che scorre senza intoppi. Ma quella che era iniziata come una dolce fiaba romantica si trasforma in un vero incubo con l’arrivo di Pietro, il secondo figlio della coppia. Quella che sembrava una perfetta famiglia media inizia a mostrare i primi squilibri e i due coniugi si ritroveranno a scontrarsi con l’imprevedibile. Iniziano così a emergere vecchi rancori, insoddisfazioni che non riescono più a essere celate e ogni minimo disaccordo sembra essere motivo di litigio.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Figli” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Era il 2002 quando Mattia Torre, grazie anche alla regia di Alessandro D’Alatri, regalava alla cinematografia italiana “Casomai”. Un film piccolo, un gioiellino, che, però, ritraeva perfettamente la nostra società e i nuovi ‘invisibili’: quelle giovani (più o meno) coppie desiderose di metter su famiglia. Una lotta ad ostacoli raccontata con la giusta ironia, quella che lascia l’amaro in bocca, quella di chi, come i due protagonisti, si sente abbandonato da tutti: dallo Stato ma anche e (forse) soprattutto dai genitori.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Potremmo considerare “Figli” un “Casomai 2.0”

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Le cose non sono affatto cambiate da allora, anzi, ed è per questo che potremmo considerare tranquillamente “Figli” un “Casomai 2.0”. Qui, però, c’è un piccolo ma significativo passo avanti: la coppia formata da Cortellesi e Mastandrea ha voglia da uscire dall’isolamento in cui la società, forzatamente, la costringe. Una scena emblematica, in questo, senso è quando Nicola urla al mondo la sua gioia per l’arrivo del secondo figlio e riceve, miseramente, uno “sticazzi!” da un passante a caso. I due, però, non si arrendono, hanno voglia di emergere, di palesarsi.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Il film è, in apparenza, molto leggero eppure riesce a cogliere la frustrazione, molto presente in tutti i genitori

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

La sceneggiatura di Mattia Torre è matura, esperta, capace di cogliere il tragicomico che abbonda nella situazione di chi decide di mettere al mondo uno o più figli al giorno d’oggi. Il film è, in apparenza, molto leggero eppure riesce a cogliere la frustrazione, molto presente in tutti i genitori e che si svela anche in gesti che dovrebbero essere di cura, d’affetto. Tristemente spassoso, in tal senso, è l’accento che si mette nel sottolineare la ‘violenza’ che le mamme e i papà imprimono nel terzo passaggio di pulizia della bocca dei bambini.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Lo stratagemma di inserire i protagonisti in uno sfondo bianco latte rende benissimo l’idea del loro stato di isolati totali.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Le pecche di questo film sono, purtroppo, tutte nella regia inappropriatamente anonima di Giuseppe Bonito. C’è molto rispetto per Mattia Torre, questo si, tanto che si lancia in una scopiazzatura del televisivo “La linea verticale”. Lo stratagemma di inserire i protagonisti in uno sfondo bianco latte, come nella serie ospedaliera, rende benissimo l’idea del loro stato di isolati totali. Però questa sceneggiatura aveva un vitale bisogno di trovare una sua personalizzazione anche nella messa in scena.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Tutto si riduce ad una lunga riflessione, con momenti divertenti, su una serie di cliché nei quali tutti i genitori potranno riconoscersi.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Invece, Bonito si limita al compitino, ha paura di sbagliare, di non omaggiare nel migliore dei modi il prematuramente scomparso Torre. Il regista gira col freno a mano tirato, non dà ritmo al racconto, che si muove lentamente, troppo lentamente, con l’andatura di un monologo (perché da lì tutto nasce). Ma se Mastandrea, a teatro, con “I figli invecchiano”, era riuscito con la giusta modulazione vocale a sottolineare i momenti topici, in “Figli”, a livello visivo, manca proprio questo. Così tutto si riduce ad una lunga riflessione, con momenti divertenti, su una serie di cliché nei quali tutti i genitori potranno riconoscersi.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Figli” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Ecco, allora, elencate le difficoltà nel fare accettare il nuovo arrivato alla prole già esistente. La (quasi) impossibilità di far convivere genitorialità e carriera, gli ostacoli nel trovare la baby-sitter adatta e, infine, gli intramontabili e irrisolvibili conflitti generazionali coi genitori, maggioranza assoluta e manovratori indisturbati al timone della nostra società. Tristemente bello il messaggio lanciato nel finale, sulla necessità di accettare ciò che capita, come un qualcosa che appartiene a noi stessi. Un messaggio che, se trasferito nella lettura del destino di Mattia Torre, rende tutto molto più commovente.

Francesco G. Balzano

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

JOJO RABBIT LA RECENSIONE DEL FILM

“Jojo Rabbit” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Jojo Rabbit” la recensione del film

“Jojo Rabbit” la recensione del film

Distribuzione: Walt Disney Italia / 20th Century Fox

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Regia: Taika Waititi
Cast: Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Scarlett Johansson, Sam Rockwell, Archie Yates, Rebel Wilson, Alfie Allen, Stephen Merchant
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 108 minuti
Voto: ♥♥♥1/2 (su 5)

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

La trama

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

E’ la storia di un dolce e timido bambino tedesco di dieci anni, Jojo Betzler, soprannominato “Rabbit”, appartenente alla Gioventù hitleriana durante i violenti anni della Seconda guerra mondiale. Siamo nella Germania del 1944, il padre di Jojo è al fronte in Italia, mentre sua madre, Rose, si prende cura di lui, dopo la morte della sorella. Il bambino trascorre le sue giornate in compagnia di Yorki, il suo unico vero amico, e frequentando un campo per giovani nazisti, gestito dal capitano Klenzendorf. Sebbene sia considerato strambo dai suoi coetanei, il ragazzo si sente un nazista avvantaggiato perché ha un amico immaginario molto particolare. Una versione grottesca e caricaturale di Adolf Hitler. Jojo odia gli ebrei, nonostante non ne abbia mai visto uno, è fermamente convinto che sia giusto ucciderli.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Una commedia dai toni surreali che, però, non dimentica mai la tragedia che sta raccontando

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Taika Waititi, regista di padre maori e madre ebrea, affronta col giusto coraggio una delle pagine più nere della Storia. Quel regime nazista che, ancora oggi, purtroppo ha putridi echi nella nostra società. Lo fa, però, senza avere la presunzione di ricostruire quell’epoca in maniera didascalica, ma, più semplicemente (ed efficacemente), parodiandone estetica e (chiamiamoli così) ideali. Ne vien fuori una commedia dai toni surreali che, però, non dimentica mai la tragedia che sta raccontando.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Dietro la risata si cela uno spirito caustico utile proprio a ridicolizzare delle fantasie che molti, troppi, hanno scambiato per verità addirittura scientifiche

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Come “La vita è bella”, infatti, anche “Jojo Rabbit” ha un’anima giocosa, che qualcuno potrebbe incautamente definire inappropriata, però nessuno spettatore potrà sostenere che si è osato giocare con eventi drammatici. Dietro la risata, infatti, si cela uno spirito caustico utile proprio a ridicolizzare delle fantasie che molti, troppi, hanno scambiato per verità addirittura scientifiche. Il punto di riferimento di questo film, non è, però, il capolavoro di Benigni, quanto piuttosto Wes Anderson per l’estetica e un mix di Edgar Wright e Jim Jarmusch per la pungente ironia. L’unica perplessità che lascia questa pellicola sta proprio qui: nell’incapacità di Waititi di seguire una strada propria. Preferisce, piuttosto, scegliere dei punti di riferimento (giusti) e scopiazzarli (in modo, però, perfetto) fino a diventare, quasi, manierista.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Il film riesce a narrare nel modo giusto una tematica complessa semplificandola, forse, ma riuscendo a colpire il bersaglio con meticolosa essenzialità

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Sottigliezze, comunque, roba da attenti analisti cinematografici. Nella sostanza, “Jojo Rabbit” rimane un film necessario e azzeccato sia per tematiche che per linguaggio. E’, infatti, fondamentale raccontare il nazismo e la shoah al pubblico più giovane, quello che, per anagrafe, non potrà (quasi) più giovare dei preziosi racconti dei sopravvissuti ai campi di concentramento. Il film, appunto, riesce a narrare nel modo giusto una tematica complessa semplificandola, forse, ma riuscendo a colpire il bersaglio con meticolosa essenzialità.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Jojo Rabbit” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Una pellicola che, pur essendo ambientata in un’epoca lontana, parla un idioma, ahinoi, attualissimo. Il bullismo, la paura del diverso, il body shaming e le difficoltà d’integrazione sono argomenti davanti ai quali nessuno può permettersi di girare le spalle. Perché Hitler è morto, ma i suoi tanti fantasmi continuano ad affacciarsi alle nostre finestre, soprattutto quelle dei nostri ragazzi che, con troppa facilità, tendono ad aprirgli. “Jojo Rabbit”, invece, è un’opera punk che li invita a dargli un calcio per rigettarlo fuori e farlo tornare (per sempre) da dove è venuto.

Francesco G. Balzano

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“TOLO TOLO” LA RECENSIONE DEL FILM

“Tolo Tolo” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Tolo Tolo” la recensione del film

“Tolo Tolo” la recensione del film

Distribuzione: Medusa Film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Regia: Checco Zalone
Cast: Checco Zalone, Souleymane Silla, Manda Touré, Nassor Said Birya, Alexis Michalik, Arianna Scommegna, Jean Marie Godet, Antonella Attili, Nunzio Cappiello, Gianni D’Addario, Eduardo Rejón, Nicola Nocella, Fabrizio Rocchi, Diletta Acquaviva, Maurizio Bousso, Sara Putignano, Barbara Bouchet, Nicola Di Bari, Francesco Cassano
Genere: Commedia
Durata: 90 minuti
Voto: ♥ (su 5)

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

La trama

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Il film narra la tragicomica storia di Checco (Zalone), uomo che ama sognare in quel di Spinazzola, in Puglia. Dopo un fallimentare tentativo di trapiantare la cultura del sushi in terra carnivora, Checco fugge oberato dai debiti e tampinato da famiglia ed ex-mogli. Tutti incauti finanziatori dei suoi goffi sogni imprenditoriali. Si rifugia da cameriere in un resort africano, a confidarsi con l’amico e collega del posto, Oumar, che sogna l’Italia e adora il cinema neorealista italiano. Dentro di sé, Checco si sente più vicino ai tanti ricconi italiani che deve servire nell’hotel. Il suo equilibrio è decisamente precario, e si spezza quando la guerra civile spazza via tutto. E spinge Checco e Oumar prima nel villaggio di quest’ultimo, poi direttamente sulla rotta per l’Europa. Bus precari, deserto, passaggi fortunosi, momenti di pace, guerriglia, carceri e attraversamento del Mediterraneo. Checco non vuole saperne di tornare dove lo attendono al varco debiti e fallimenti, anzi: sogna di ritornare in Europa ma di trasferirsi nel Liechtenstein!

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Manca un’idea di cosa sia il Cinema e di come si debba costruire non specificatamente una commedia (come nel caso) ma un film in generale

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Per realizzare “Tolo Tolo”, Luca Medici, in arte (?) Checco Zalone, abbandona la sua storica collaborazione con Gennaro Nunziante per farsi coadiuvare, alla sceneggiatura, da Paolo Virzì. Un nome altisonante che, però, rimane soltanto scritto nei crediti, in quanto la mano del regista livornese rimane invisibile e impalpabile. Dietro la macchina da presa, per la prima volta, il comico si mette in proprio e, stavolta si, è del tutto evidente che la pellicola sia girata (si fa per dire) da un esordiente totale. Manca un’idea di cosa sia il Cinema e di come si debba costruire non specificatamente una commedia (come nel caso) ma un film in generale.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Tolo Tolo” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

L’insieme è un totale pastrocchio, un qualcosa di indefinito e senza né capo né coda. Non c’è una struttura a sorreggere le battute (quelle poche e poco divertenti che ci sono), né una vaga percezione di quale strada si voglia prendere. Circostanza grave se, ripetiamo, a metter mano alla sceneggiatura c’è anche un uomo navigato del cinema come Paolo Virzì. Invece, qui non c’è altro che una telecamera pronta a seguire il ciondolanta andare di un idiota (il personaggio di Checco Zalone), il quale vaga svagato nel bel mezzo di una tragedia senza mai farsi una domanda.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

L’intenzione è quella di guardare la realtà in superficie, prendendo uno slogan da destra e un altro da sinistra, e limitandosi a ripeterlo

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Non si abbia l’ardire di sostenere che “Tolo Tolo” (molto semplicemente, una storpiatura dell’italiano “solo solo”) sia un film che fa riflettere, perché non è affatto così. Anzi, l’intenzione è proprio l’esatto contrario, ovvero quella di guardare la realtà in superficie, prendendo uno slogan da destra e un altro da sinistra, e limitandosi a ripeterlo. Da che parte sta Checco Zalone? Alla domanda non c’è risposta, non in questo film (?) almeno, ma, francamente è il minore dei problemi. Si potrebbe dire che, addirittura, è una questione insignificante, perché qui il tema principale è che manca proprio la sostanza.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Non si mette alla berlina niente e nessuno, è uno sguardo distratto su una tragedia

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Questa pellicola è il nulla, uno specchio il cui unico compito è riflettere. Non si mette alla berlina niente e nessuno, è uno sguardo distratto su una tragedia. Un contenitore vuoto che ognuno può riempire con le proprie idee sostenendo che vengano ridicolizzate quelle degl altri. Ma, in realtà, se uno prova davvero a immergersi dentro scoprirà che non c’è proprio profondità. Il punto più basso, poi, si raggiunge con l’insulso finale che la coppia Zalone/Virzì decide di dare alla loro orrenda creatura. Una canzoncina frivola ed inutile con la presuntuosa pretesa di far ridere, per giunta. Praticamente una summa di tutta l’operazione.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Tolo Tolo” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Checco Zalone si conferma sceneggiatore mediocre e si scopre pessimo regista. Nessuna idea di cosa sia un film e da dove si cominci per realizzarlo, ma è bravissimo (e qui giù il capello) a vendere il suo brand. Non ha inventato nulla di eclatante, si tratta semplicemente di un personaggio banale, che ha fatto del banalismo la sua cifra stilistica. Non prende posizione, non è cerchiobottista, né ‘spara’ a 360 gradi. Fa una semplice operazione di marketing: strizza l’occhio ad ognuno di noi e ci invita a guardare il suo nulla. Quando uno scopre l’inganno (ammesso che lo scopra) è troppo tardi, perché stanno già scorrendo i titoli di coda. Ha giocato al gioco delle tre carte con gli spettatori, ma tra genio e furbizia c’è una bella differenza…

Francesco G. Balzano

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“HAMMAMET” LA RECENSIONE DEL FILM

“Hammamet” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Hammamet” la recensione del film

“Hammamet” la recensione del film

Distribuzione: 01 Distribution

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Regia: Gianni Amelio
Cast: Pierfrancesco Favino, Livia Rossi, Luca Filippi, Silvia Cohen, Omero Antonutti, Renato Carpentieri, Giuseppe Cederna, Claudia Gerini
Genere: Biografico, Drammatico
Durata: 126 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

La trama

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Film incentrato sulla figura di Bettino Craxi, racconta un capitolo critico della storia d’Italia. A distanza di 20 anni dalla morte di uno degli uomini politici più importanti della Repubblica Italiana, Amelio riporta a galla il nome di Craxi. Un tempo sulle testate di tutti i giornali e oggi occultato silenziosamente sotto strati e strati di sabbia. Bertino Craxi, un nome che molti non vogliono ricordare, che intimorisce altri e che altri ancora vorrebbero cancellare, forse per sempre. Il film, basato su testimonianze reali, è un thriller fondato su tre tappe. Il re caduto: il primo socialista con l’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri, indagato poi nell’inchiesta Mani pulite. La figlia che lotta per lui: Stefania, istitutrice della Fondazione Craxi, volta a tutelare l’immagine del padre. Infine, l’ultimo capitolo, il terzo, dedicato a un misterioso giovane. Il quale entra nell’ambiente politico della famiglia Craxi, provando a demolirlo da dentro.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Hammamet” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Gianni Amelio si confronta con uno dei personaggi più influenti della recente Storia d’Italia, ovvero Bettino Craxi. Lo fa senza dare giudizi, perché fu un uomo controverso sul quale, ancora oggi, è impossibile esporsi senza schierarsi politicamente, cosa che il regista, con saggezza, evita accuratemente. Così, lo spettatore rimarrà nel dubbio, se non ha già (dentro di sé) la risposta: ci troviamo davanti ad un delinquente o, al contrario, ad uno dei più grandi statisti degli ultimi cinquant’anni?

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Amelio inserisce un’ oggettiva, dunque non partitica, riflessione su quanto gli italiani abbiano la tendenza a distruggere idoli dopo averli innalzati

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Dunque, nessuna risposta a questo dilemma che, nel film, tale rimane. “Hamamet” non narra molto delle peripezie politiche di Craxi, perché preferisce raccontarne le ultime, umanissime, sofferenze. In questo contesto Amelio inserisce, poi, un’ oggettiva, dunque non partitica, riflessione su quanto gli italiani abbiano la tendenza a distruggere idoli dopo averli innalzati.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

L’intento di Amelio è quello di raccontare la caduta di un uomo che iniziava a sentirsi quasi un Dio

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Altra scelta saggia della sceneggiatura è quella di non dare nomi reali (e in certi casi non darne proprio) ai vari personaggi. Basti pensare che neppure Craxi viene mai citato direttamente, proprio per dare un senso di universalità alla vicenda narrata. E (forse forse) anche per inscenare un divertente gioco con gli spettatori, una sorta di malizioso ‘Indovina Chi?’. Alcuni, diciamolo, sono facilmente identificabili: più di tutti ‘Il Giudice’, che è senza dubbio Di Pietro. Ma è altrettanto ipotizzabile che Vincenzo sia, in realtà, Moroni e che dietro ‘l’Ospite’ si nasconda la figura di Fanfani. Quisquilie, comunque, perché l’essenza del film è altro: l’intento di Amelio, infatti, è quello di raccontare la caduta di un uomo che iniziava a sentirsi quasi un Dio, fino all’ultima caduta ai piedi di un albero al quale non riesce più nemmeno ad aggrapparsi. Una discesa colma di simboli e onirismo, perfettamente sottolineata dai gravi spartiti composti, magistralmente, dall’impeccabile Nicola Piovani.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Favino ci restituisce il leader del PSI nella sua grandezza politica e nella fragilità umana, un uomo costantemente in bilico tra l’immagine pubblica (granitica) e quella privatissima, in cui piange e soffre senza nascondersi, anzi, a favor di telecamera

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Il lento declino di Craxi lo ritroviamo anche negli ambienti che lo circondano. Si parte da un’ enorme sala congressi, dove giganteggia su un palco rialzato, e finisce in un’ angusta, labirintica, ‘prigione’ all’aperto, ovvero i cunicoli della città nella quale è in esilio. “Hamamet” è soprattutto, se non addirittura soltanto, un film appoggiato sulle potenti spalle di un Favino in forma smagliante. Al di là dei preziosismi di cui abbiamo scritto, ma difficili da cogliere, il film è disegnato attorno al personaggio dell’attore romano, che è riuscito a cogliere ogni singolo aspetto di Craxi. I complimenti al compito svolto da trucco e parrucco sono d’obbligo, ma sarebbe stato vano senza il lavoro sulla voce, la mimica e pure la psicologia del protagonista. Favino ci restituisce il leader del PSI nella sua grandezza politica e nella fragilità umana, un uomo costantemente in bilico tra l’immagine pubblica (granitica) e quella privatissima, in cui piange e soffre senza nascondersi, anzi, a favor di telecamera.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Hammamet” la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Hamamet” è, dunque, una pellicola che si fonda sull’interpretazione degli attori e non tutti loro, dispiace scriverlo, sono all’altezza del compito. Su Favino non c’è altro da aggiungere, mentre è d’obbligo un accenno alla bravura della giovane Livia Rossi, che interpreta con credibilità la figlia di Bettino, Stefania, nel film ribattezzata Anita in un chiaro accenno all’esilio scelto da o imposto al (fate voi) protagonista. Complimenti che, invece, non possono essere rivolti a Luca Filippi. Il suo Fausto è interpretato in maniera davvero infelice, privo di espressività e di giusta intonazione. Grandiosa, invece, ma non c’è quasi bisogno di sottolinearlo, la prova attoriale di Renato Carpentieri. Il suo ‘Ospite’ è l’unico davvero in grado di reggere la scena con lo strabordante Favino.

Francesco G. Balzano

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“PINOCCHIO” DI MATTEO GARRONE LA RECENSIONE DEL FILM

“Pinocchio” di Matteo Garrone la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Pinocchio” di Matteo Garrone la recensione del film

“Pinocchio” di Matteo Garrone la recensione del film

Distribuzione: 01 Distribution

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Regia: Matteo Garrone
Cast: Roberto Benigni, Federico Ielapi, Marine Vacth, Gigi Proietti, Rocco Papaleo, Massimo Ceccherini, Alida Calabria, Alessio Di Domenicantonio, Maria Pia Timo, Davide Marotta, Paolo Graziosi, Gianfranco Gallo, Massimiliano Gallo, Marcello Fonte, Teco Celio, Enzo Vetrano, Nino Scardina
Durata: 120 minuti
Genere: Fantasy, Avventura
Voto: ♥♥♥♥ (su 5)

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

La trama

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Il film ripercorre la storia del burattino dal naso lungo, sin dalla sua nascita per mano di Geppetto che ne ha intagliato le fattezze. Un tronco di legno che diventa marionetta e che acquisisce capacità motorie e intellettive, come un qualsiasi bambino in carne e ossa. Questo è Pinocchio, anche se la sua carne è la corteccia e le sue ossa sono segatura. Nonostante il suo corpo sia duro come la quercia e la sua testa ancor di più, Geppetto si affeziona a lui. Come se fosse un bimbo vero, un suo figlio. Ma il burattino non è il bambino obbediente e studioso che il suo papà falegname sperava. Spinto da un’irrefrenabile curiosità, da un carattere birichino e talvolta ingenuo, Pinocchio si ritroverà spesso nei guai. Mettendo in pericolo anche lo stesso Geppetto…

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

C’è da dire, che quando Matteo Garrone si confronta con un’opera letteraria, tende a diventare didascalico, forse eccessivamente.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Per realizzare il suo “Pinocchio”, Matteo Garrone ha dovuto fare un passo indietro. Si è, cioè, ‘dimenticato’ di essere un autore, com’era reso evidente, invece, in “Dogman” per mettersi completamente al servizio del testo di Collodi. C’è da dire, che quando il regista si confronta con un’opera letteraria, tende a diventare didascalico, forse eccessivamente. Successe con “Gomorra”, accadde di nuovo con “Il racconto dei racconti” e ora si ripete con la favola del burattino di legno. Volendo vedere tale caratteristica con occhio critico, diremmo che questo è un suo limite. Se, invece, volessimo approcciarci alla questione con fare costruttivo, potremmo dire che è la sua forza.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Garrone si comporta come un bravo artigiano del cinema. Lavora la materia utilizzando tutto il suo talento per poi farla sbocciare e brillare di luce propria.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Perché se da un lato, mettendoci davvero poco di suo, Garrone abdica sin da principio al suo ruolo di autore, dall’altra è impossibile non notare che è stato l’unico a valorizzare la bellezza di un testo troppo spesso soggetto ad arbitrarie interpretazioni. Lui, invece, si comporta come un bravo artigiano del cinema. Lavora la materia utilizzando tutto il suo talento per poi farla sbocciare e brillare di luce propria. Non utilizza (quasi) per niente la tecnologia e si affida totalmente alle mani delle migliori maestranze attualmente in circolazione. Anche questo estremismo nel tornare all’antico, meglio all’essenziale, dice molto, se non tutto, su come egli intenda un certo genere di cinema.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Pinocchio” è una poesia in movimento, un piacere infinito per gli occhi e le orecchie

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Garrone punta forte sull’azzeccare i volti giusti, sul dirigerne maniacalmente l’interpretazione e sulla raffinatezza estetica di ogni fotogramma. Il cinema, diceva Fellini, è molto semplice: ci sono uno schermo e le sedie. Bisogna riempirli entrambi. Ecco, Garrone è riuscito perfettamente nell’impresa, soprattutto in quella di riempire lo schermo. “Pinocchio” è una poesia in movimento, un piacere infinito per gli occhi e le orecchie. In alcune scene, poi, si raggiunge addirittura la perfezione estetica, con ogni dettaglio messo al proprio posto per creare una perfetta armonia di immagini e suoni.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“Pinocchio” di Matteo Garrone la recensione del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Il fatto di conoscere già perfettamente lo sviluppo narrativo della vicenda è un vantaggio per gli spettatori, perché gli consente di godersi pienamente tutto il resto. E quel “tutto il resto” sono le interpretazioni sublimi degli attori, tutti, dai principali fino all’ultimo dei comprimari. In particolare, però, una menzione specialissima la merita il piccolo protagonista, Federico Ielapi. Non è semplice, a 9 anni appena compiuti, tenere sulle spalle un film di Garrone, circondato da eccellenze interpretative come, solo per fare due nomi, Roberto Benigni e Gigi Proietti. Lui ci è riuscito alla grande perché non solo non sfigura, ma, anzi, spicca, si erge e brilla nonostante sia sovrastato da tanti ‘giganti’. Il suo Pinocchio è vitale, trascinante, vero, vivo, commovente.

Francesco G. Balzano

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

“LA DEA FORTUNA” LA RECENSIONE DEL FILM

“Pokemon Detective Pikachu” la scheda del film

“Pokemon Detective Pikachu”, scheda del film di Rob Letterman con Ryan Reynolds e Justice Smith leggi la trama e guarda il trailer.

“Pokemon Detective Pikachu” la scheda del film

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Regia: Rob Letterman
Cast: Ryan Reynolds, Justice Smith, Kathryn Newton, Ken Watanabe, Bill Nighy,
Suki Waterhouse, Rita Ora
Genere: avventura
Durata: 104 minuti
Voto: OO 1/2 *

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Pokemon Detective Pikachu, il film diretto da Rob Letterman, segue la storia del giovane Tim, costretto a scoprire cosa sia successo, quando suo padre, il geniale detective privato Harry Goodman, scompare misteriosamente.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Ad aiutarlo nelle indagini l’ex compagno Pokemon di Harry, Detective Pikachu. Un adorabile, esilarante e saggio super-investigatore che sorprende tutti, persino se stesso. Avendo scoperto che i due sono equipaggiati per comunicare tra loro in modo singolare. Tim e Pikachu uniscono le loro forze in un’avventura elettrizzante per svelare l’intricato mistero.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Si trovano così ad inseguire gli indizi lungo le strade illuminate al neon di Ryme City. Una moderna e disordinata metropoli dove umani e Pokemon vivono fianco a fianco in un iperrealistico mondo live-action. Qui incontreranno una serie di Pokémon, scoprendo una trama sconvolgente che potrebbe distruggere la loro coesistenza pacifica con gli umani. E minacciare l’universo stesso dei Pokemon.

* il voto espresso (da 1 a 5 pallini) è dato dalla media ponderata dei maggiori siti cinematografici italiani

A cura di Barbara Piergentili

“TED BUNDY – FASCINO CRIMINALE” LA SCHEDA DEL FILM

“Shazam” la recensione del film DC Comics

Vuoi leggere la recensione de “Shazam”, il film DC Comics?

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Regia: David F. Sandberg

Cast: Zachary Levi, Mark Strong, Asher Angel, Jack Dylan Grazer, Grace Fulton, Ian Chen, Jovan Armand, Faithe Herman, Cooper Andrews, Marta Milans.

Genere: Azione, Fantasy

Durata: 132 minuti

Voto: ♥♥♥

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Al quattordicenne Billy Batson, basta pronunciare una sola parola ‘SHAZAM!’ per trasformarsi in un adulto, il Supereroe Shazam, grazie a un anziano mago.
Essendo ancora un ragazzino nell’animo Shazam si diverte in questa versione adulta di sé stesso, facendo ciò che qualsiasi adolescente farebbe con dei superpoteri! Può volare? Ha una vista a raggi X? Può lanciare dei fulmini dalle mani? Può saltare i test delle lezioni di studi sociali?

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

La DC sembra aver trovato la giusta via per la produzione dei suoi film, puntando su toni meno cupi e decisamente più scanzonati. Dopo il non riuscitissimo “Acquaman”, nonostante seguisse queste nuove ‘direttive, arriva “Shazam!”, gradevole pellicola d’azione adatta a tutta la famiglia. L’inizio è decisamente lento e con poco appeal, tanto da indurre lo spettatore a qualche sbadiglio di troppo. Ma, col passare dei minuti, il ritmo cresce a braccetto con la verve comica, a tutto beneficio della gradevolezza della storia.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Piace, e non poco, la capacità di prendersi poco sul serio (dote rara nei film superomistici) e pure i continui rimandi agli anni 80, tanto cari a molte produzioni post “Stranger Things”. Bello anche il sottotesto dedicato al concetto di famiglia (assolutamente non tradizionale), che sarà gradito a coloro che, nel divertimento, non vogliono rinunciare a pillole di moralismo. Il clima generale, comunque, rimane quello di un film divertito e divertente, dove l’intento è quello di ‘sporcare’ l’immagine del supereroe perfettamente a suo agio con le sue capacità fuori dall’ordinario.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Di fondo, il concetto è sempre: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità (ricordate gli “Spiderman” di Sam Raimi?). Qui, però, l’incoscienza deriva dalla giovanissima età del protagonista, che, dunque, utilizza le sue ‘abilità’ con la goffagine del più inadatto tra gli inadatti. Ciò crea momenti di grande ilarità sia nel pubblico adolescente che in quello adulto, che non potrà non creare un parallelismo col “Ralph supermaxieroe” dei primi anni ’80.

[the_ad_placement id=”adsense-in-feed”]

Questo clima giocoso e scanzonato viene, solo parzialmente, guastato da un finale stucchevolmente mieloso. In particolare, nella scena che si svolge attorno alla tavola imbandita per il Natale con la famiglia riunita al completo. Pure l’eccessiva durata pesa inutilmente sul ritmo del film, soprattutto, come già scritto, nei primissimi minuti. “Shazam!”, comunque, rimane una pellicola, tutto sommato, ben scritta e ben diretta da David F. Sandberg, autore che viene dall’horror, qui bravo a reinventarsi regista di un film da bollino verde. Bene tutto il cast, in particolare quello più giovane, con Asher Angel e, soprattutto, Jack Dylan Grazer (già visto nell’ultimo “It”) sugli scudi.

Francesco G. Balzano

“SHAZAM” LA SCHEDA DEL FILM

Copyright © 2012 - 2022 FB Comunicazione di Francesco Girolamo Balzano Testata Giornalistica registrata presso Tribunale di Roma n.263/2012

Partita Iva: 11915641002 | Privacy Policy

Sito web realizzato da

Musa Studio | Web e Comunicazione

VPS