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Disney Plus arriva in Italia il 24 marzo Dai film in catalogo al costo degli abbonamenti anche da condividere tutto quello che c’è da sapere

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Disney Plus arriva in Italia il 24 marzo Dai film in catalogo al costo degli abbonamenti anche da condividere tutto quello che c’è da sapere

Disney Plus arriva in Italia il 24 marzo Dai film in catalogo al costo degli abbonamenti anche da condividere tutto quello che c’è da sapere

Davide Turrini per ilfattoquotidiano.it

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Star Wars, i supereroi Marvel e tutte le creazioni Pixar in un canale solo a portata di click. Dal 24 marzo 2020 sarà disponibile anche in Italia Disney+, servizio streaming dedicato ai tutti i brand del celebre marchio alla Mickey Mouse. 6,99 euro al mese, o 69,99 euro l’anno, e passa la paura. Ad un singolo abbonamento, oltretutto, si possono associare ben sette profili. Monsters&co, ma anche Capitan America o Han Solo faranno capolino sui vostri schermi sia scaricando una app sia su monitor del pc. Di pre-abbonati, come spesso Disney fa per dati sensibili, non c’è una cifra pubblica disponibile. Ma possiamo registrare il quantitativo di abbonamenti negli Stati Uniti in tre mesi: 28 milioni e 600mila.

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Poi certo, come ha sempre sostenuto Red Hastings, patron di Netflix, per capire il successo di un servizio in streaming va registrato quanto tempo gli utenti rimangono collegati. Ebbene i dati statunitensi parlano chiaro: da un lato Disney+ ha circa lo stesso numero di sessioni di Netflix e Amazon. Ma rispetto al primo gli spettatori di Disney+ rimangono collegati il 5,8% in più, e rispetto al secondo il 7,8% in più. Dal lancio ufficiale italiano si parla di un catalogo di 500 film e oltre 350 serie. All’interno di esso oltre ai classici di zio Walt – Fantasia, Dumbo, Gli Aristogatti, ecc… – si possono recuperare anche più di 500 episodi dei Simpson. Fin dal primo minuto del giorno 24 marzo saranno disponibili alcuni titoli di lancio inediti. Si parte con The Mandalorian, uno spin off di Star Wars in otto episodi con protagonista un pistolero/cacciatore di taglie.

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Lilli e il Vagabondo versione live action e tanto altro…

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Un Lilli e il Vagabondo versione live action; la serie High School Musical: un’altra mini serie con protagonista un personaggio del mondo Pixar, I perché di Forky. Dodici episodi in collaborazione con National Geographic intitolati Il mondo secondo Jeff Goldblum, dove il celebre attore de Il grande freddo esplora il mondo delle cose ordinarie. Come un gelato, un paio di scarpe, il caffè, ecc… per scoprire segreti straordinari. Infine, un paio di film originali Disney: Togo, un film d’avventura con protagonista William Dafoe e Timmy Frana, diretto dal regista di Spotlight, Tom McCarthy. Con una insolita coppia di attori: un bimbo e un orso polare.

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Sul mercato italiano Disney diventa il quarto servizio streaming di contenuti video dopo Netflix, Amazon e Apple. Negli Stati Uniti la concorrenza è piuttosto accesa. Anche perché Disney ha tolto proprio dal catalogo Netflix parecchie sue produzioni per portarle sul proprio catalogo. Le cifre sono sempre segretissime, ma le stime ufficiose segnalano, sul mercato americano: 158 milioni di abbonati per Netflix e oltre 100 milioni per Amazon. Disney+ esordisce quindi il 24 marzo in Italia ma contemporaneamente anche in Germania, Spagna, Svizzera, Irlanda e Austria. In Francia se ne riparlerà più avanti, dopo che Disney ha accolto la richiesta del governo francese di posticipare il battezzo. Per non sovraccaricare la rete in queste giornate di tutti a casa per via dell’epidemia di coronavirus. Last but not least: fino a mezzanotte del 23 marzo si può vedere quello che si vuole completamente gratis.

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“ULTRAS” FA DISCUTERE CALEMME “LETTIERI HA PERSO UNA ENORME OCCASIONE C’E’ UNA DIFFERENZA CON GOMORRA

Ultras fa discutere Calemme “Lettieri ha perso una enorme occasione C’è una differenza con Gomorra”

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Ultras fa discutere Calemme “Lettieri ha perso una enorme occasione C’è una differenza con Gomorra”

Ultras fa discutere Calemme “Lettieri ha perso una enorme occasione C’è una differenza con Gomorra”

da areanapoli.it

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Lo scorso venerdì 20 marzo è uscito sulla popolare piattaforma streaming di Netflix il film “Ultras” di Francesco Lettieri. Quest’ultimo lavoro però sta facendo discutere e non poco tifosi e non solo. Il giornalista di calciomercato.it Mirko Calemme ha espresso il suo parere nel merito con un post su Facebook. “Reputo Lettieri un grande artista, ma con ‘Ultras’ per me ha perso un’enorme occasione. Se non c’era la pretesa ‘di raccontare veramente il mondo degli ultras’, perché utilizzare loro per il suo primo lungometraggio? Perché scegliere quel titolo per il film? Perché impostare tutta la promozione su quel mondo?”.

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Calemme ha aggiunto: “Il suo potente linguaggio visivo poteva essere un’arma unica per raccontare la Curva, che a Napoli è un universo a parte. Capace di cancellare l’enorme stratificazione sociale della metropoli e unire nello stesso coro un camorrista e un docente universitario. Mi aspettavo un lavoro di ricerca diverso e più profondo: si è utilizzata l’etichetta ‘ultras Napoli’ solo come espediente estetico, ed è giusto che in tanti si siano sentiti presi in giro. C’è chi l’ha definito la ‘Gomorra del Calcio’, ma Gomorra porta sullo schermo un’enorme dose di verità. E invece, sinceramente, la sensazione è che Lettieri abbia realizzato un film chiamato ‘Ultras’ senza mai confrontarsi con nemmeno uno di loro”.

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L’Equipe promuove il film “Ultras”. Il regista Lettieri: «Se potrò tornare allo stadio? Vedremo»

da ilnapolista.it

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L’Equipe, il più celebre quotidiano sportivo, dedica due pagina al film “Ultras” di Francesco Lettieri in programmazione su Netflix. Due pagine – firmate Gregiore Fleurot – che promuovo l’opera fortemente contestata dagli ultras napoletani che hanno lasciato loro messaggi nel centro storico della città. L’Equipe scrive che Ultras è un film diverso dai precedenti tentativi – cita “Hooligans” e “The Football Factory”. Non si vede mai il campo, solo all’inizio il San Paolo. Non c’è giudizio morale né politica. L’Equipe scrive che mai nel film ci sono accenni alla camorra.

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A proposito della violenza, scrive L’Equipe: “La violenza, sia tra le diverse generazioni del gruppo o tra club rivali, è presente in tutto Ultras. Senza, però, esserne il filo conduttore, a differenza dei tanti film dedicati agli hooligan (Hooligans, La Fabbrica di calcio). Innanzitutto perché per gli ultras, modello di tifo nato in Italia alla fine degli anni sessanta, la violenza non è fine a se stessa. Ma un effetto collaterale della passione per il club e la città. E poi perché Francesco Lettieri non tenta di impartire alcuna lezione di Sociologia.

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Ultras fa discutere Calemme “Lettieri ha perso una enorme occasione C’è una differenza con Gomorra”

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La violenza è un qualcosa che il regista si limita a descrivere. Come in una scena di sommossa tra napoletani, romani e poliziotti girati alla maniera di un telefono cellulare. «Non volevo fare un film morale o esprimere un giudizio, ma raccontare un contesto», dice Lettieri. E a proposito della camorra e della politica scrive: “Non si fa mai menzione della camorra. Anche e recenti notizie hanno dimostrato i legami tra le reti mafiose e il movimento ultra, principalmente a Torino, Milano, Roma e, in misura minore a Napoli. Una decisione del regista. «Qui in Italia, soprattutto a Napoli, c’è molta generalizzazione, sentiamo spesso che gli ultras sono camorristi. In realtà, ci sono persone legate alla criminalità organizzata agli angoli. Ma questo non significa che l’intero movimento sia legato alla criminalità».

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“Non c’è politica né nel film, assenza che riflette una specificità napoletana. Mentre molti gruppi italiani attuali sono politicamente contrassegnati, più spesso a destra, quelli di Napoli sono tra i pochi ad essere rimasti in gran parte apolitici. «Se non lo fossero stati, onestamente non so se avrei fatto questo film», dice. Ovviamente L’Equipe ricorda gli ultras non hanno minimamente partecipato alla stesura del film. Il quotidiano ricorda i messaggi che i gruppi organizzati hanno riservato all’opera e al regista che commenta così. “Ciò che mi rende felice è che hanno scritto questi messaggi prima dell’uscita del film. Non è quindi un giudizio sulla sua qualità, ma sull’operazione in generale”. L’Equipe chiede: pensa di poter continuare a vedere le partite in Curva B? “Non lo so. (Risata). Diciamo che al momento la domanda non si pone, perché ci sono altri problemi che impediscono alle persone di andare allo stadio”.

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ANTONELLA LEARDI CONTRO IL FILM ‘ULTRAS’ “E’ UNA PUGNALATA AL CUORE ED UN’OFFESA ALLA MEMORIA DI CIRO”

Antonella Leardi contro il film ‘Ultras’ “E’una pugnalata al cuore ed un’offesa alla memoria di Ciro”

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Antonella Leardi contro il film ‘Ultras’ “E’una pugnalata al cuore ed un’offesa alla memoria di Ciro”

Antonella Leardi contro il film ‘Ultras’ “E’una pugnalata al cuore ed un’offesa alla memoria di Ciro”

da tuttonapoli.net

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Antonella Leardi, presidente dell’Associazione “Ciro Vive”, in riferimento all’uscita del film “Ultras” con la regia di Francesco Lettieri, ha dichiarato le seguenti parole. “Nel vedere il trailer del film Ultras con la regia di Francesco Lettieri, sono stata colta da sgomento e profonda tristezza. Non posso che condividere le parole espresse dall’avvocato degli Ultras Emilio Coppola. Questo film è una pugnalata al cuore ed una offesa nei confronti non solo della mia famiglia. Ma anche e soprattutto della memoria di Ciro, mio figlio.

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L’associazione che abbiamo fondato ha una precisa mission: onorare la vita, la memoria ed il sacrificio di mio figlio

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L’associazione che abbiamo fondato ha una precisa mission: onorare la vita, la memoria ed il sacrificio di mio figlio. Vogliamo ricordare a tutti che noi ci siamo sempre spesi per la pace e la diffusione di un messaggio di speranza e non violenza. Altresì, credo e difendo la libertà d’espressione e le licenze poetiche di ogni artista. Ma in questo film si è superato il limite. I riferimenti alla storia di mio figlio sono così espliciti, che non posso tacere. La narrazione, anche solo del trailer, e’ davvero offensiva per mio figlio. Ciro non è mai appartenuto a quel mondo che viene descritto nel film. Ma soprattutto non ci identifichiamo nei sentimenti e nei messaggi che vengono in questo film promossi. Mio figlio e’ morto per un deliberato atto di violenza. E dal momento della sua morte, tutta la mia famiglia, si e’ prodigata per diffondere un messaggio di non violenza. Messaggio che abbiamo condiviso nelle TV, negli eventi, negli stadi e nelle scuole. Questo voglio sia chiaro e, nel film, non emerge nessuno di questi messaggi”.

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Antonella Leardi contro il film ‘Ultras’ “E’una pugnalata al cuore ed un’offesa alla memoria di Ciro”

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“Per questo l’esplicito riferimento a mio figlio e la sua vicenda non è opportuno. Inoltre lo stesso vale per gli ultras, un mondo che ho conosciuto e apprezzato. Posso dare anche una mia testimonianza. Nei giorni successivi al ferimento di mio figlio, gli ultras avrebbero potuto scatenare una spirale di odio che invece non si è mai verificata. Ho avuto con loro dei contatti diretti in quel tempo e mi hanno sempre rispettata, seguendo le mie indicazioni. Ciro era un ragazzo che ha vissuto una sua esperienza di fede, soprattutto negli giorni d’agonia prima della sua morte. Ha pregato per la sua anima, e si è avvicinato a Dio. Questa per me è stata la più grande conquista”.

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Al funerale di mio figlio abbiamo dato una testimonianza di fede

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“Al funerale di mio figlio abbiamo dato una testimonianza di fede. Altro che violenza e vendetta. Ora tutto quello che viene descritto e rappresentato nel film, non corrisponde alla realtà di ciò che siamo e di ciò che abbiamo vissuto insieme agli ultras. Sono delusa e amareggiata, ed anche stanca, ma non smetterò mai di trovare la forza per difendere la memoria di Ciro. Ed onorare la missione che sento di portare per diffondere un messaggio di amore e speranza”.

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LIBERATO CANTA NAPOLI PER ULTRAS IL FILM DI LETTIERI REGISTA ‘INDIE’ DA RECORD

Liberato canta Napoli per Ultras il film di Lettieri regista ‘indie’ da record

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Liberato canta Napoli per Ultras il film di Lettieri regista ‘indie’ da record

Liberato canta Napoli per Ultras il film di Lettieri regista ‘indie’ da record

Vanni Paleari per calciomercato.com

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Da possibile videoclip di Calcutta a lungometraggio con la colonna sonora di Liberato. Arriva oggi su Netflix, Ultras, film di Francesco Lettieri che racconta il mondo ultrà senza essere incentrato sul calcio giocato. Per l’occasione dell’uscita del lungometraggio avrebbe dovuto esserci un evento speciale nei cinema (9, 10 e 11 marzo), saltato per le disposizioni anti-coronavirus. Sarà quindi, quella di questi giorni di quarantena, un’occasione per apprezzare il film sulla piattaforma Netflix, all’insegna dell’#iorestoacasa.

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Ultras racconta le vicende di un gruppo di tifoseria organizzata di Napoli. E’ una narrativa romantica che vede il confronto tra la vecchia guardia (rappresentata da Il Mohicano, interpretato da Aniello Arena) e il nuovo che avanza, maggiormente portato allo scontro con le altre tifoserie. Un modo del tutto nuovo per raccontare il mondo Ultras, nel quale uno spiccato realismo nasconde azione e folclore, ma anche una fotografia da grande autore. Una rappresentazione completamente diversa da altri titoli italiani ambientati in quel mondo. Su tutti si ricordano “Ultrà” di Ricky Tognazzi, “A.C.A.B.” di Stefano Sollima ed “Estranei alla Massa” di Vincenzo Marra.

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Liberato è perfetto per accompagnare con la sua musica questo spaccato del tifo partenopeo

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E Liberato, artista indie senza volto dalle sonorità elettro-neomelodiche, è perfetto per accompagnare con la sua musica questo spaccato del tifo partenopeo, tutto ardore e voglia riscatto. Il brano principale della colonna sonora, We Come From Napoli, è stato realizzato insieme a Robert 3D Del Naja dei Massive Attack e al rapper britannico Gaika. L’unione tra la musica e la regia in questo film rappresenta l’apice di anni di collaborazioni tra i Lettieri e Liberato. Con il primo che finora ha diretto tutti i videoclip del secondo.

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Lettieri è anche a tutti gli effetti il regista per eccellenza dell’indie italiano. Tanto che ha realizzato più di sessanta videoclip per un totale di 160 milioni di visualizzazioni, collaborando tra gli altri con Carl Brave, Franco126, Thegiornalisti, Motta, Fast Animals and Slow Kid, Noyz Narcos, Emis Killa e, ovviamente, Calcutta. C’era grande curiosità dietro al suo esordio con i lungometraggi: la prima sembra più che buona, vedremo cosa riserverà il futuro.

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CARLO VERDONE ‘CONTRO’ IL CORONAVIRUS FILM IN STREAMING GRATIS SU INFINITY

Carlo Verdone ‘contro’ il Coronavirus film in streaming gratis su Infinity

Carlo Verdone ‘contro’ il Coronavirus film in streaming gratis su Infinity

Carlo Verdone ‘contro’ il Coronavirus film in streaming gratis su Infinity

Antonella Catena per amica.it

È una bella lotta. Carlo Verdone e il suo umorismo contro il Coronavirus. Per dimenticarci, per lo spazio di un film, del Coronavirus. Infinity, la piattaforma di streaming, ci mette a disposizione gratis questa opportunità. Di più. In questo momento così particolare di emergenza ha raddoppiato l’offerta. Due mesi gratuiti, registrandosi su Infinitytv.it. Carlo Verdone stesso ha mandato un messaggio a tutti noi. Ci dice di restare a casa. Leggere un bel libro. Ascoltare buona musica. Guardare un bel film.

Quali pellicole di Carlo Verdone sono disponibili gratuitamente su Infinity?

Ancora meglio, aggiungiamo noi, uno dei suoi, in streaming gratis sulla piattaforma Infinity. Da “Borotalco” restaurato proprio da Infinity a “Bianco, rosso e Verdone”. Ma anche “Un sacco bello”, “Acqua e Sapone”, “Maledetto il giorno che ti ho incontrato”. E poi “Al lupo al lupo”, “Stasera in casa di Alice”, “Viaggi di nozze”. “Perdiamoci di vista” e “Sono pazzo di Iris Blond”, “Gallo cedrone”, “C’era un cinese in coma”, “L’amore è eterno finché dura”. Riguardiamoli, dimentichiamoci per due ore del Coronavirus. Riscopriamo Carlo Verdone e tutte le sue muse. Da Margherita Buy a Ornella Muti. Da Claudia Gerini a Eleonora Giorgi, protagonista proprio di Borotalco. Ma anche Asia Argento e Laura Morante.

Stiamo con lui e i suoi film in streaming gratis su Infinity. E promettiamoci che, quando l’emergenza sarà passata e torneremo al cinema, andremo a vedere il suo Si vive una volta sola. Il suo nuovo film, slittato a causa dell’epidemia di Coronavirus.

OSCAR 2020 I VINCITORI PARASITE E’ IL MIGLIOR FILM JOAQUIN “JOKER” PHOENIX RENEE ZELLWEGER BRAD PITT E LAURA DERN MIGLIORI ATTORI

Oscar 2020 i vincitori Parasite è il miglior film Joaquin “Joker” Phoenix Renée Zellweger Brad Pitt e Laura Dern migliori attori

Oscar 2020 i vincitori Parasite è il miglior film Joaquin “Joker” Phoenix Renée Zellweger Brad Pitt e Laura Dern migliori attori

Oscar 2020 i vincitori Parasite è il miglior film Joaquin “Joker” Phoenix Renée Zellweger Brad Pitt e Laura Dern migliori attori

Davide Turrini per ilfattoquotidiano.it

Trionfo Parasite. Miglior film, miglior film internazionale, miglior sceneggiatura e miglior regia. Non era mai successo nella storia degli Oscar. È il primo film non in lingua inglese a vincere nella più importante categoria tra quelle dell’Academy. Sì, certo, The artist vinse nel 2011, ma era un film muto e soprattutto ambientato totalmente ad Hollywood.

La dedica del miglior regista al Maestro Scorsese – Il film targato Corea del Sud, scritto e diretto da Bong Joon Ho è invece un vero e proprio altrove geografico e culturale. Anche se racconta qualcosa di politicamente universale come l’eterno conflitto tra differenti classi socio-economiche. Insomma, un Oscar molto marxista e poco liberista, quello del 2020. Ma soprattutto un Oscar, anzi quattro che vanno a premiare un’opera di grande cinema a livello tecnico ed estetico. Il primo Oscar, allo script di Bong, arriva quando ancora la cerimonia è agli inizi. Poi l’esplosione di premi prorompe nell’ultima mezz’ora.

La dedica di Bong a Martin Scorsese e Quentin Tarantino

Bong si deve alzare quattro volte ed ogni volta è totale sorpresa. A un certo punto quando deve ritirare la statuetta come miglior regista, surclassando Scorsese, Tarantino, Mendes e Todd Phillips gli tocca inchinarsi regalando una standing ovation per zio Marty: “Quando studiavo cinema ciò che più mi è rimasto nel cuore è la frase: più si è personali più si è creativi. E quella frase l’ha detta Scorsese che ho studiato a scuola”.

Dolby Theatre in piedi per Martin. “Ringrazio anche Quentin che ha sempre messo i miei film tra suoi preferiti”. E Tarantino ringrazia da vero fratello di sangue facendo il gesto della mano sul cuore. “Avessi una motosega dividerei l’Oscar in tante parti con tutti voi”. Bong, 50 anni, una carriera di successo nel terzo più grande sistema di produzione cinematografica al mondo, non è solo tipo da film art house come Parasite. Nel passato ha girato un blockbuster come The Host, un film drammatico come Memories of murder, ma soprattutto un film estremamente animalista come Okja, dove la protagonista salva un maiale dal macello per poi viverci insieme. Insomma, oltre l’inquadratura c’è di più.

Il discorso ultrambientalista di Joaquin Phoenix e il ricordo del fratello River

Joaquin Joker e il discorso ultrambientalista – Un po’ come ha voluto sottolineare, serissimo, Joaquin Phoenix, Oscar annunciato e meritato come miglior attore protagonista in Joker, nel suo impressionante discorso politicamente ultra-ambientalista. “Il dono più grande è l’opportunità di dare la nostra voce a chi non ha voce. Tutte le volte che parliamo di diseguaglianze di genere, razzismo, diritti LGBTQ, diritti degli animali e dei nativi, parliamo di diritti dove una specie non deve dominarne un’altra impunemente. Siamo così lontani e disconnessi dalla natura, pensiamo di essere al centro dell’universo, ci sentiamo in diritto di inseminare artificialmente una mucca. E quando gli nasce un vitello glielo rubiamo o usiamo il suo latte per i cereali al mattino”, ha spiegato Phoenix”.

“Abbiamo paura dell’idea di cambiare, pensiamo solo al sacrificio che toccherebbe a noi, ma gli esseri umani sono così pieni di inventiva. Usiamo l’amore per realizzare un sistema di vita per tutti gli esseri senzienti e l’ambiente. Nella mia vita sono stato egoista, cattivo e crudele, sono stato un collega difficile, ma la cosa più importante è darsi una seconda opportunità. Sosteniamoci insieme così verrà il meglio per l’umanità”. Joaquin ha poi concluso citando il fratello River: “Quando mio fratello aveva 17 anni scrisse: corri verso il rifugio con amore e la pace giungerà”.

Gli altri premi e la delusione per Martin Scorsese

Gli altri film e il premio a Renée Zellweger per Judy – Di fronte all’exploit di Parasite tutti gli altri film in nomination rimangono come annichiliti. 1917, sbandierato come il favorito alla vigilia, vince tre Oscar (fotografia, sonoro ed effetti speciali). A due Oscar si fermano Joker (Phoenix come miglior attore e la straordinaria colonna sonora dell’islandese Hildur Guðnadóttir); C’era una volta ad Hollywood (Brad Pitt come miglior attore non protagonista e production design); ma anche due Oscar come montaggio e sound editing per l’ingiustamente trascurato Ford vs. Ferrari di James Mangold. Ad un Oscar troviamo invece Marriage Story di Noah Baumbach (Laura Dern come attrice non protagonista); Piccole donne (costumi) e Bombshell (trucco).

Mentre a bocca asciutta rimane mestamente The Irishman di Martin Scorsese che in mezzo a tutta la compagnia di giro degli altri nominati e vincitori è parso improvvisamente un film vecchissimo e imbalsamato come mai ci era sembrato in questi mesi. Oltretutto nel solito tabellino vecchi studios vs. Netflix&Co, i vecchi studios non sembrano lasciare quest’anno granché ai nuovi arrivati, anzi. L’Oscar alla miglior attrice protagonista, telefonato anch’esso da settimane, va a Renée Zellweger che rifà in posa plastica, gobbetta e visino tra il contrito e l’alcolizzato una Judy Garland vecchio stile, che è anche un modo per Hollywood di risarcire sacrifici e tragedie all’attrice del Mago di Oz e di È nata una stella.

I look delle star

La lunga notte degli Oscar era iniziata sul red carpet dei divi con uno Spike Lee in abito viola melanzana Los Angeles Lakers (lui che è dei Knicks di New York) omaggio esplicito allo scomparso Kobe Bryant. A stretto giro di posa per i fotografi una Margot Robbie in nero mozzafiato, Scarlett Johansson in bianco panna praticamente perfetta. E un terrificante Timothée Chalamet con outfit tra pigiama e palestra. In mancanza di un vero presentatore, formula che probabilmente proseguirà nei prossimi anni, l’apertura grintosa, sontuosa e raffinata in musica di Janelle Monae ci ha abituati troppo bene. Perché la serata degli Oscar è stata sostanzialmente succinta ma terribilmente noiosa: mai uno sbaffo, mai una mezza parola oltre i limiti consentiti, mai una sorpresa.

Oscar 2020 i vincitori Parasite è il miglior film Joaquin “Joker” Phoenix Renée Zellweger Brad Pitt e Laura Dern migliori attori

L’unico sussulto imprevisto e molto comunista arriva quando viene premiato American Factory come miglior documentario. Julia Rieichert, co-regista assieme Steven Bognar, si prende lo spazio di una battuta sul mondo del lavoro: “Per i lavoratori la vita è sempre più dura. E potrà migliorare solo quando lavoratori di tutto il mondo si uniranno”. Ancora la Disney/Pixar a raccogliere l’ennesimo Oscar per l’animazione con Toy Story 4. Poi corrono tutti in scena per far chiudere presto la serata: Elton John, che tra l’altro vince il suo secondo Oscar per il brano I’m Gonna Love Me Again, tratto dal film suo biopic Rocketman, esegue un live inascoltabile; Billie Eilish che invece canta una Yesterday da brividi mentre scorrono le immagini “in memoriam” rivediamo i nostri Piero Tosi e Franco Zeffirrelli. Ma anche il grande Kirk Douglas, Peter Fonda, Terry Jones e Bibi Andersson. Infine Eminem che rilascia una scarica di adrenalina che subito si esaurisce dopo la standing ovation. Alla fine gli Oscar 2020, invece del solito florilegio post #metoo, donna-afro-LGBTQ, (a proposito niente afroamericani vincitori) parlano improvvisamente coreano. La sala applaude convinta. Un finale più inatteso di così forse nemmeno il bustone scambiato da Warren Beatty e Faye Dunaway.

“ODIO L’ESTATE” LA RECENSIONE DEL FILM

“Odio l’estate” la recensione del film

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“Odio l’estate” la recensione del film

“Odio l’estate” la recensione del film

Distribuzione: Medusa Film 

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Regia: Massimo Venier
Cast: Aldo, Giovanni, Giacomo, Lucia Mascino, Carlotta Natoli, Maria Di Biase, Massimo Ranieri, Davide Calgaro, Ilary Marzo, Michele Placido, Sabrina Martina, Melissa Marzo
Genere: Commedia
Durata: 110 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

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La trama

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Tre uomini decidono di trascorrere le vacanze estive in un’isola a largo delle coste italiche, ognuno insieme alla rispettiva famiglia. Non conoscendosi, scelgono la stessa meta estiva, la stessa spiaggia e si ritrovano anche ad affittare la stessa casa…tutti nello stesso periodo. Sono totalmente diversi l’uno dall’altro. Aldo è un tamarro senza un lavoro fisso, è ipocondriaco, ha una passione per Massimo Ranieri. Vive con un cane di nome Brian, una moglie che urla invece di parlare, e i figli Ilary e Salvo. Giovanni è uno organizzato, preciso, gestisce un’impresa prossima al fallimento e viaggia con la moglie e la figlia Alessia. Infine, c’è Giacomo, medico di successo che non riesce, però, ad avere un rapporto con il figlioletto in piena pubertà.

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Sembra di essere tornati tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo millennio, quando i film del trio furoreggiavano nelle nostre sale

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Dopo una pausa di poco più di 15 anni, Aldo, Giovanni e Giacomo riprendono, saggiamente, la collaborazione col loro regista di fiducia, Massimo Venier. Una scelta azzeccata, perché era l’unico modo per reindirizzare la loro vena artistica su una strada cinematografica correttamente tratteggiata. La storia è semplice ed efficace e il racconto insiste, ancora una volta ma senza annoiare, sulla loro inossidabile amicizia. Sembra di essere tornati tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo millennio, quando i film del trio furoreggiavano nelle nostre sale. La voglia, in effetti, è quella di fornire un effetto nostalgia, inserendo, però, quegli stessi personaggi nella modernità. Ecco, dunque, Giovanni alle prese con una bottega di famiglia destinata alla chiusura e Giacomo, che deve combattere da genitore non biologico con un figlio maleducato e sempre incollato all’iPad.

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“Odio l’estate” è il trampolino di (ri)lancio di Aldo Giovanni e Giacomo

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Con “Odio l’estate” Aldo, Giovanni e Giacomo tracciano nuove vie d’uscita per la loro comicità, che sembrava ormai segnata da una data di scadenza. Questo film è il loro trampolino di (ri)lancio, perché si, sono ancora legati a un passato che li obbliga all’autocitazionismo, però hanno anche il coraggio di osare nel parlare un linguaggio se non nuovo, almeno diverso. Soprattutto, hanno aperto il loro mondo maschile (ma mai maschilista) all’universo femminile. Finalmente, nel cast troviamo tre attrici di razza (Maria Di Biase, Carlotta Natoli e Cinzia Mascino), che entrano prepotentemente nella storia ed hanno un ruolo ben definito.

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“Odio l’estate” la recensione del film

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Il trio si mette, a tratti, da parte per lasciare spazio e scena alle compagne di viaggio. La loro comicità è meno istintiva e prorompente, ma si lascia incanalare in una sceneggiatura solida e ben strutturata, dove le risate di grana grossa si sacrificano in nome di una storia gradevole. Il nuovo meccanismo, insomma, non ripudia i vecchi ingranaggi, ma toglie loro la ruggine e li olia a dovere, per farli tornare a girare come ai vecchi tempi, seppur in maniera diversa. Bene Michele Placido, che nelle sue apparizioni dimostra di avere un’ottima sintonia comica con Aldo, Giovanni e Giacomo. Piacevole, seppur molto decontestualizzata, la comparsata del sempre bravo Roberto Citran. Funziona anche il cast di giovani e giovanissimi, in particolare Edoardo Vaino (Ludovico), che dà vita ad un personaggio perfettamente caratterizzato dalla sceneggiatura.

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“Odio l’estate” è diretto parente di “Chiedimi se sono felice”, ma ha ambizioni più alte

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“Odio l’estate” è un film maturo, tra i migliori (se non il migliore) del trio. E’ diretto parente di “Chiedimi se sono felice”, ma ha ambizioni più alte, giustificate dall’età dei tre protagonisti. Ciò, però, non equivale ad esserne all’altezza. Quando la pellicola svolta su tonalità blandamente drammatiche, infatti, sbanda e non tiene più la strada come un tempo. Nulla di grave, però, perché il coraggio va sempre premiato. Anche se costa una brutta ammaccatura su una macchina, sin lì, perfettamente stabile ed affidabile.

Francesco G. Balzano

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“FIGLI” LA RECENSIONE DEL FILM

“Figli” la recensione del film

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“Figli” la recensione del film

“Figli” la recensione del film

Distribuzione: Vision Distribution

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Regia: Giuseppe Bonito
Cast: Valerio Mastandrea, Paola Cortellesi, Stefano Fresi, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Andrea Sartoretti, Massimo De Lorenzo, Gianfelice Imparato, Carlo de Ruggeri, Betti Pedrazzi
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 97 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

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La trama

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Nicola e Sara sono una coppia innamorata e felice. Sposati da tempo, hanno una figlia di sei anni e una vita che scorre senza intoppi. Ma quella che era iniziata come una dolce fiaba romantica si trasforma in un vero incubo con l’arrivo di Pietro, il secondo figlio della coppia. Quella che sembrava una perfetta famiglia media inizia a mostrare i primi squilibri e i due coniugi si ritroveranno a scontrarsi con l’imprevedibile. Iniziano così a emergere vecchi rancori, insoddisfazioni che non riescono più a essere celate e ogni minimo disaccordo sembra essere motivo di litigio.

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“Figli” la recensione del film

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Era il 2002 quando Mattia Torre, grazie anche alla regia di Alessandro D’Alatri, regalava alla cinematografia italiana “Casomai”. Un film piccolo, un gioiellino, che, però, ritraeva perfettamente la nostra società e i nuovi ‘invisibili’: quelle giovani (più o meno) coppie desiderose di metter su famiglia. Una lotta ad ostacoli raccontata con la giusta ironia, quella che lascia l’amaro in bocca, quella di chi, come i due protagonisti, si sente abbandonato da tutti: dallo Stato ma anche e (forse) soprattutto dai genitori.

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Potremmo considerare “Figli” un “Casomai 2.0”

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Le cose non sono affatto cambiate da allora, anzi, ed è per questo che potremmo considerare tranquillamente “Figli” un “Casomai 2.0”. Qui, però, c’è un piccolo ma significativo passo avanti: la coppia formata da Cortellesi e Mastandrea ha voglia da uscire dall’isolamento in cui la società, forzatamente, la costringe. Una scena emblematica, in questo, senso è quando Nicola urla al mondo la sua gioia per l’arrivo del secondo figlio e riceve, miseramente, uno “sticazzi!” da un passante a caso. I due, però, non si arrendono, hanno voglia di emergere, di palesarsi.

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Il film è, in apparenza, molto leggero eppure riesce a cogliere la frustrazione, molto presente in tutti i genitori

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La sceneggiatura di Mattia Torre è matura, esperta, capace di cogliere il tragicomico che abbonda nella situazione di chi decide di mettere al mondo uno o più figli al giorno d’oggi. Il film è, in apparenza, molto leggero eppure riesce a cogliere la frustrazione, molto presente in tutti i genitori e che si svela anche in gesti che dovrebbero essere di cura, d’affetto. Tristemente spassoso, in tal senso, è l’accento che si mette nel sottolineare la ‘violenza’ che le mamme e i papà imprimono nel terzo passaggio di pulizia della bocca dei bambini.

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Lo stratagemma di inserire i protagonisti in uno sfondo bianco latte rende benissimo l’idea del loro stato di isolati totali.

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Le pecche di questo film sono, purtroppo, tutte nella regia inappropriatamente anonima di Giuseppe Bonito. C’è molto rispetto per Mattia Torre, questo si, tanto che si lancia in una scopiazzatura del televisivo “La linea verticale”. Lo stratagemma di inserire i protagonisti in uno sfondo bianco latte, come nella serie ospedaliera, rende benissimo l’idea del loro stato di isolati totali. Però questa sceneggiatura aveva un vitale bisogno di trovare una sua personalizzazione anche nella messa in scena.

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Tutto si riduce ad una lunga riflessione, con momenti divertenti, su una serie di cliché nei quali tutti i genitori potranno riconoscersi.

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Invece, Bonito si limita al compitino, ha paura di sbagliare, di non omaggiare nel migliore dei modi il prematuramente scomparso Torre. Il regista gira col freno a mano tirato, non dà ritmo al racconto, che si muove lentamente, troppo lentamente, con l’andatura di un monologo (perché da lì tutto nasce). Ma se Mastandrea, a teatro, con “I figli invecchiano”, era riuscito con la giusta modulazione vocale a sottolineare i momenti topici, in “Figli”, a livello visivo, manca proprio questo. Così tutto si riduce ad una lunga riflessione, con momenti divertenti, su una serie di cliché nei quali tutti i genitori potranno riconoscersi.

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“Figli” la recensione del film

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Ecco, allora, elencate le difficoltà nel fare accettare il nuovo arrivato alla prole già esistente. La (quasi) impossibilità di far convivere genitorialità e carriera, gli ostacoli nel trovare la baby-sitter adatta e, infine, gli intramontabili e irrisolvibili conflitti generazionali coi genitori, maggioranza assoluta e manovratori indisturbati al timone della nostra società. Tristemente bello il messaggio lanciato nel finale, sulla necessità di accettare ciò che capita, come un qualcosa che appartiene a noi stessi. Un messaggio che, se trasferito nella lettura del destino di Mattia Torre, rende tutto molto più commovente.

Francesco G. Balzano

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JOJO RABBIT LA RECENSIONE DEL FILM

“Jojo Rabbit” la recensione del film

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“Jojo Rabbit” la recensione del film

“Jojo Rabbit” la recensione del film

Distribuzione: Walt Disney Italia / 20th Century Fox

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Regia: Taika Waititi
Cast: Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Scarlett Johansson, Sam Rockwell, Archie Yates, Rebel Wilson, Alfie Allen, Stephen Merchant
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 108 minuti
Voto: ♥♥♥1/2 (su 5)

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La trama

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E’ la storia di un dolce e timido bambino tedesco di dieci anni, Jojo Betzler, soprannominato “Rabbit”, appartenente alla Gioventù hitleriana durante i violenti anni della Seconda guerra mondiale. Siamo nella Germania del 1944, il padre di Jojo è al fronte in Italia, mentre sua madre, Rose, si prende cura di lui, dopo la morte della sorella. Il bambino trascorre le sue giornate in compagnia di Yorki, il suo unico vero amico, e frequentando un campo per giovani nazisti, gestito dal capitano Klenzendorf. Sebbene sia considerato strambo dai suoi coetanei, il ragazzo si sente un nazista avvantaggiato perché ha un amico immaginario molto particolare. Una versione grottesca e caricaturale di Adolf Hitler. Jojo odia gli ebrei, nonostante non ne abbia mai visto uno, è fermamente convinto che sia giusto ucciderli.

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Una commedia dai toni surreali che, però, non dimentica mai la tragedia che sta raccontando

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Taika Waititi, regista di padre maori e madre ebrea, affronta col giusto coraggio una delle pagine più nere della Storia. Quel regime nazista che, ancora oggi, purtroppo ha putridi echi nella nostra società. Lo fa, però, senza avere la presunzione di ricostruire quell’epoca in maniera didascalica, ma, più semplicemente (ed efficacemente), parodiandone estetica e (chiamiamoli così) ideali. Ne vien fuori una commedia dai toni surreali che, però, non dimentica mai la tragedia che sta raccontando.

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Dietro la risata si cela uno spirito caustico utile proprio a ridicolizzare delle fantasie che molti, troppi, hanno scambiato per verità addirittura scientifiche

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Come “La vita è bella”, infatti, anche “Jojo Rabbit” ha un’anima giocosa, che qualcuno potrebbe incautamente definire inappropriata, però nessuno spettatore potrà sostenere che si è osato giocare con eventi drammatici. Dietro la risata, infatti, si cela uno spirito caustico utile proprio a ridicolizzare delle fantasie che molti, troppi, hanno scambiato per verità addirittura scientifiche. Il punto di riferimento di questo film, non è, però, il capolavoro di Benigni, quanto piuttosto Wes Anderson per l’estetica e un mix di Edgar Wright e Jim Jarmusch per la pungente ironia. L’unica perplessità che lascia questa pellicola sta proprio qui: nell’incapacità di Waititi di seguire una strada propria. Preferisce, piuttosto, scegliere dei punti di riferimento (giusti) e scopiazzarli (in modo, però, perfetto) fino a diventare, quasi, manierista.

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Il film riesce a narrare nel modo giusto una tematica complessa semplificandola, forse, ma riuscendo a colpire il bersaglio con meticolosa essenzialità

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Sottigliezze, comunque, roba da attenti analisti cinematografici. Nella sostanza, “Jojo Rabbit” rimane un film necessario e azzeccato sia per tematiche che per linguaggio. E’, infatti, fondamentale raccontare il nazismo e la shoah al pubblico più giovane, quello che, per anagrafe, non potrà (quasi) più giovare dei preziosi racconti dei sopravvissuti ai campi di concentramento. Il film, appunto, riesce a narrare nel modo giusto una tematica complessa semplificandola, forse, ma riuscendo a colpire il bersaglio con meticolosa essenzialità.

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“Jojo Rabbit” la recensione del film

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Una pellicola che, pur essendo ambientata in un’epoca lontana, parla un idioma, ahinoi, attualissimo. Il bullismo, la paura del diverso, il body shaming e le difficoltà d’integrazione sono argomenti davanti ai quali nessuno può permettersi di girare le spalle. Perché Hitler è morto, ma i suoi tanti fantasmi continuano ad affacciarsi alle nostre finestre, soprattutto quelle dei nostri ragazzi che, con troppa facilità, tendono ad aprirgli. “Jojo Rabbit”, invece, è un’opera punk che li invita a dargli un calcio per rigettarlo fuori e farlo tornare (per sempre) da dove è venuto.

Francesco G. Balzano

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“TOLO TOLO” LA RECENSIONE DEL FILM

“Tolo Tolo” la recensione del film

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“Tolo Tolo” la recensione del film

“Tolo Tolo” la recensione del film

Distribuzione: Medusa Film

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Regia: Checco Zalone
Cast: Checco Zalone, Souleymane Silla, Manda Touré, Nassor Said Birya, Alexis Michalik, Arianna Scommegna, Jean Marie Godet, Antonella Attili, Nunzio Cappiello, Gianni D’Addario, Eduardo Rejón, Nicola Nocella, Fabrizio Rocchi, Diletta Acquaviva, Maurizio Bousso, Sara Putignano, Barbara Bouchet, Nicola Di Bari, Francesco Cassano
Genere: Commedia
Durata: 90 minuti
Voto: ♥ (su 5)

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La trama

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Il film narra la tragicomica storia di Checco (Zalone), uomo che ama sognare in quel di Spinazzola, in Puglia. Dopo un fallimentare tentativo di trapiantare la cultura del sushi in terra carnivora, Checco fugge oberato dai debiti e tampinato da famiglia ed ex-mogli. Tutti incauti finanziatori dei suoi goffi sogni imprenditoriali. Si rifugia da cameriere in un resort africano, a confidarsi con l’amico e collega del posto, Oumar, che sogna l’Italia e adora il cinema neorealista italiano. Dentro di sé, Checco si sente più vicino ai tanti ricconi italiani che deve servire nell’hotel. Il suo equilibrio è decisamente precario, e si spezza quando la guerra civile spazza via tutto. E spinge Checco e Oumar prima nel villaggio di quest’ultimo, poi direttamente sulla rotta per l’Europa. Bus precari, deserto, passaggi fortunosi, momenti di pace, guerriglia, carceri e attraversamento del Mediterraneo. Checco non vuole saperne di tornare dove lo attendono al varco debiti e fallimenti, anzi: sogna di ritornare in Europa ma di trasferirsi nel Liechtenstein!

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Manca un’idea di cosa sia il Cinema e di come si debba costruire non specificatamente una commedia (come nel caso) ma un film in generale

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Per realizzare “Tolo Tolo”, Luca Medici, in arte (?) Checco Zalone, abbandona la sua storica collaborazione con Gennaro Nunziante per farsi coadiuvare, alla sceneggiatura, da Paolo Virzì. Un nome altisonante che, però, rimane soltanto scritto nei crediti, in quanto la mano del regista livornese rimane invisibile e impalpabile. Dietro la macchina da presa, per la prima volta, il comico si mette in proprio e, stavolta si, è del tutto evidente che la pellicola sia girata (si fa per dire) da un esordiente totale. Manca un’idea di cosa sia il Cinema e di come si debba costruire non specificatamente una commedia (come nel caso) ma un film in generale.

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“Tolo Tolo” la recensione del film

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L’insieme è un totale pastrocchio, un qualcosa di indefinito e senza né capo né coda. Non c’è una struttura a sorreggere le battute (quelle poche e poco divertenti che ci sono), né una vaga percezione di quale strada si voglia prendere. Circostanza grave se, ripetiamo, a metter mano alla sceneggiatura c’è anche un uomo navigato del cinema come Paolo Virzì. Invece, qui non c’è altro che una telecamera pronta a seguire il ciondolanta andare di un idiota (il personaggio di Checco Zalone), il quale vaga svagato nel bel mezzo di una tragedia senza mai farsi una domanda.

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L’intenzione è quella di guardare la realtà in superficie, prendendo uno slogan da destra e un altro da sinistra, e limitandosi a ripeterlo

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Non si abbia l’ardire di sostenere che “Tolo Tolo” (molto semplicemente, una storpiatura dell’italiano “solo solo”) sia un film che fa riflettere, perché non è affatto così. Anzi, l’intenzione è proprio l’esatto contrario, ovvero quella di guardare la realtà in superficie, prendendo uno slogan da destra e un altro da sinistra, e limitandosi a ripeterlo. Da che parte sta Checco Zalone? Alla domanda non c’è risposta, non in questo film (?) almeno, ma, francamente è il minore dei problemi. Si potrebbe dire che, addirittura, è una questione insignificante, perché qui il tema principale è che manca proprio la sostanza.

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Non si mette alla berlina niente e nessuno, è uno sguardo distratto su una tragedia

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Questa pellicola è il nulla, uno specchio il cui unico compito è riflettere. Non si mette alla berlina niente e nessuno, è uno sguardo distratto su una tragedia. Un contenitore vuoto che ognuno può riempire con le proprie idee sostenendo che vengano ridicolizzate quelle degl altri. Ma, in realtà, se uno prova davvero a immergersi dentro scoprirà che non c’è proprio profondità. Il punto più basso, poi, si raggiunge con l’insulso finale che la coppia Zalone/Virzì decide di dare alla loro orrenda creatura. Una canzoncina frivola ed inutile con la presuntuosa pretesa di far ridere, per giunta. Praticamente una summa di tutta l’operazione.

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“Tolo Tolo” la recensione del film

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Checco Zalone si conferma sceneggiatore mediocre e si scopre pessimo regista. Nessuna idea di cosa sia un film e da dove si cominci per realizzarlo, ma è bravissimo (e qui giù il capello) a vendere il suo brand. Non ha inventato nulla di eclatante, si tratta semplicemente di un personaggio banale, che ha fatto del banalismo la sua cifra stilistica. Non prende posizione, non è cerchiobottista, né ‘spara’ a 360 gradi. Fa una semplice operazione di marketing: strizza l’occhio ad ognuno di noi e ci invita a guardare il suo nulla. Quando uno scopre l’inganno (ammesso che lo scopra) è troppo tardi, perché stanno già scorrendo i titoli di coda. Ha giocato al gioco delle tre carte con gli spettatori, ma tra genio e furbizia c’è una bella differenza…

Francesco G. Balzano

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“HAMMAMET” LA RECENSIONE DEL FILM

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