Oscar 2020 i vincitori Parasite è il miglior film Joaquin “Joker” Phoenix Renée Zellweger Brad Pitt e Laura Dern migliori attori
Davide Turrini per ilfattoquotidiano.it
Trionfo Parasite. Miglior film, miglior film internazionale, miglior sceneggiatura e miglior regia. Non era mai successo nella storia degli Oscar. È il primo film non in lingua inglese a vincere nella più importante categoria tra quelle dell’Academy. Sì, certo, The artist vinse nel 2011, ma era un film muto e soprattutto ambientato totalmente ad Hollywood.
La dedica del miglior regista al Maestro Scorsese – Il film targato Corea del Sud, scritto e diretto da Bong Joon Ho è invece un vero e proprio altrove geografico e culturale. Anche se racconta qualcosa di politicamente universale come l’eterno conflitto tra differenti classi socio-economiche. Insomma, un Oscar molto marxista e poco liberista, quello del 2020. Ma soprattutto un Oscar, anzi quattro che vanno a premiare un’opera di grande cinema a livello tecnico ed estetico. Il primo Oscar, allo script di Bong, arriva quando ancora la cerimonia è agli inizi. Poi l’esplosione di premi prorompe nell’ultima mezz’ora.
Bong si deve alzare quattro volte ed ogni volta è totale sorpresa. A un certo punto quando deve ritirare la statuetta come miglior regista, surclassando Scorsese, Tarantino, Mendes e Todd Phillips gli tocca inchinarsi regalando una standing ovation per zio Marty: “Quando studiavo cinema ciò che più mi è rimasto nel cuore è la frase: più si è personali più si è creativi. E quella frase l’ha detta Scorsese che ho studiato a scuola”.
Dolby Theatre in piedi per Martin. “Ringrazio anche Quentin che ha sempre messo i miei film tra suoi preferiti”. E Tarantino ringrazia da vero fratello di sangue facendo il gesto della mano sul cuore. “Avessi una motosega dividerei l’Oscar in tante parti con tutti voi”. Bong, 50 anni, una carriera di successo nel terzo più grande sistema di produzione cinematografica al mondo, non è solo tipo da film art house come Parasite. Nel passato ha girato un blockbuster come The Host, un film drammatico come Memories of murder, ma soprattutto un film estremamente animalista come Okja, dove la protagonista salva un maiale dal macello per poi viverci insieme. Insomma, oltre l’inquadratura c’è di più.
Joaquin Joker e il discorso ultrambientalista – Un po’ come ha voluto sottolineare, serissimo, Joaquin Phoenix, Oscar annunciato e meritato come miglior attore protagonista in Joker, nel suo impressionante discorso politicamente ultra-ambientalista. “Il dono più grande è l’opportunità di dare la nostra voce a chi non ha voce. Tutte le volte che parliamo di diseguaglianze di genere, razzismo, diritti LGBTQ, diritti degli animali e dei nativi, parliamo di diritti dove una specie non deve dominarne un’altra impunemente. Siamo così lontani e disconnessi dalla natura, pensiamo di essere al centro dell’universo, ci sentiamo in diritto di inseminare artificialmente una mucca. E quando gli nasce un vitello glielo rubiamo o usiamo il suo latte per i cereali al mattino”, ha spiegato Phoenix”.
“Abbiamo paura dell’idea di cambiare, pensiamo solo al sacrificio che toccherebbe a noi, ma gli esseri umani sono così pieni di inventiva. Usiamo l’amore per realizzare un sistema di vita per tutti gli esseri senzienti e l’ambiente. Nella mia vita sono stato egoista, cattivo e crudele, sono stato un collega difficile, ma la cosa più importante è darsi una seconda opportunità. Sosteniamoci insieme così verrà il meglio per l’umanità”. Joaquin ha poi concluso citando il fratello River: “Quando mio fratello aveva 17 anni scrisse: corri verso il rifugio con amore e la pace giungerà”.
Gli altri film e il premio a Renée Zellweger per Judy – Di fronte all’exploit di Parasite tutti gli altri film in nomination rimangono come annichiliti. 1917, sbandierato come il favorito alla vigilia, vince tre Oscar (fotografia, sonoro ed effetti speciali). A due Oscar si fermano Joker (Phoenix come miglior attore e la straordinaria colonna sonora dell’islandese Hildur Guðnadóttir); C’era una volta ad Hollywood (Brad Pitt come miglior attore non protagonista e production design); ma anche due Oscar come montaggio e sound editing per l’ingiustamente trascurato Ford vs. Ferrari di James Mangold. Ad un Oscar troviamo invece Marriage Story di Noah Baumbach (Laura Dern come attrice non protagonista); Piccole donne (costumi) e Bombshell (trucco).
Mentre a bocca asciutta rimane mestamente The Irishman di Martin Scorsese che in mezzo a tutta la compagnia di giro degli altri nominati e vincitori è parso improvvisamente un film vecchissimo e imbalsamato come mai ci era sembrato in questi mesi. Oltretutto nel solito tabellino vecchi studios vs. Netflix&Co, i vecchi studios non sembrano lasciare quest’anno granché ai nuovi arrivati, anzi. L’Oscar alla miglior attrice protagonista, telefonato anch’esso da settimane, va a Renée Zellweger che rifà in posa plastica, gobbetta e visino tra il contrito e l’alcolizzato una Judy Garland vecchio stile, che è anche un modo per Hollywood di risarcire sacrifici e tragedie all’attrice del Mago di Oz e di È nata una stella.
La lunga notte degli Oscar era iniziata sul red carpet dei divi con uno Spike Lee in abito viola melanzana Los Angeles Lakers (lui che è dei Knicks di New York) omaggio esplicito allo scomparso Kobe Bryant. A stretto giro di posa per i fotografi una Margot Robbie in nero mozzafiato, Scarlett Johansson in bianco panna praticamente perfetta. E un terrificante Timothée Chalamet con outfit tra pigiama e palestra. In mancanza di un vero presentatore, formula che probabilmente proseguirà nei prossimi anni, l’apertura grintosa, sontuosa e raffinata in musica di Janelle Monae ci ha abituati troppo bene. Perché la serata degli Oscar è stata sostanzialmente succinta ma terribilmente noiosa: mai uno sbaffo, mai una mezza parola oltre i limiti consentiti, mai una sorpresa.
L’unico sussulto imprevisto e molto comunista arriva quando viene premiato American Factory come miglior documentario. Julia Rieichert, co-regista assieme Steven Bognar, si prende lo spazio di una battuta sul mondo del lavoro: “Per i lavoratori la vita è sempre più dura. E potrà migliorare solo quando lavoratori di tutto il mondo si uniranno”. Ancora la Disney/Pixar a raccogliere l’ennesimo Oscar per l’animazione con Toy Story 4. Poi corrono tutti in scena per far chiudere presto la serata: Elton John, che tra l’altro vince il suo secondo Oscar per il brano I’m Gonna Love Me Again, tratto dal film suo biopic Rocketman, esegue un live inascoltabile; Billie Eilish che invece canta una Yesterday da brividi mentre scorrono le immagini “in memoriam” rivediamo i nostri Piero Tosi e Franco Zeffirrelli. Ma anche il grande Kirk Douglas, Peter Fonda, Terry Jones e Bibi Andersson. Infine Eminem che rilascia una scarica di adrenalina che subito si esaurisce dopo la standing ovation. Alla fine gli Oscar 2020, invece del solito florilegio post #metoo, donna-afro-LGBTQ, (a proposito niente afroamericani vincitori) parlano improvvisamente coreano. La sala applaude convinta. Un finale più inatteso di così forse nemmeno il bustone scambiato da Warren Beatty e Faye Dunaway.
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