Alabama: Kenneth Smith e quella pena di morte disumana con azoto è il primo caso al mondo
Alabama: Kenneth Smith e quella pena di morte disumana con azoto è il primo caso al mondo
Alabama: Kenneth Smith e quella pena di morte disumana con azoto è il primo caso al mondo
da corriere.it
Il 25 gennaio, negli Stati Uniti, Kenneth Eugene Smith è stato giustiziato con un metodo rivoluzionario nell’ambito delle esecuzioni capitali. Questo caso, che ha attirato l’attenzione internazionale, rappresenta la prima volta al mondo in cui l’ipossia da azoto è stata impiegata per porre fine alla vita di un condannato a morte.
La condanna di Kenneth Eugene Smith
Kenneth Eugene Smith, 58 anni, era stato condannato per l’omicidio di Elizabeth Dorlene Sennett, la moglie di un pastore protestante, avvenuto nel 1988. Questa non era la prima volta che Smith si trovava di fronte alla pena capitale; nel 2022 aveva già sopravvissuto a un tentativo di esecuzione tramite iniezione letale.
La procedura di esecuzione
L’attesa per l’esito dell’ultimo appello alla Corte suprema americana ha ritardato l’inizio dell’esecuzione, che ha avuto luogo alle 20.25, ora locale dell’Alabama. Una volta respinto l’appello, la procedura finale ha avuto inizio nella camera della morte del carcere di Holman.
Alabama: Kenneth Smith e quella pena di morte disumana con azoto è il primo caso al mondo – Le ultime parole di Kenneth Smith
Legato al lettino, Smith è stato sottoposto a un nuovo metodo di esecuzione: l’ipossia da azoto. Prima di indossare la maschera per inalare il gas, ha condiviso le sue ultime parole, dichiarando: “Stasera l’Alabama fa compiere all’umanità un passo indietro. Me ne vado con amore, pace e luce, vi amo. Grazie per avermi sostenuto, vi amo tutti.”
La durata dell’esecuzione
La procedura di esecuzione è durata circa 22 minuti, con testimoni che hanno riportato che Smith è rimasto cosciente per diversi minuti dall’inizio e successivamente ha manifestato segni di agitazione. Il respiro del condannato ha rallentato gradualmente fino a diventare impercettibile, e la sua morte è stata dichiarata alle 20.25.
L’ipossia da azoto: un approccio crudelmente innovativo
L’uso dell’ipossia da azoto, una tecnica ideata dallo sceneggiatore Stuart Creque, è stato il fulcro di questa esecuzione. L’azoto, costituente del 78% dell’aria che respiriamo, diventa letale quando ne viene aumentata la concentrazione, riducendo la quantità di ossigeno. Tuttavia, sorgono preoccupazioni etiche e mediche riguardo alla possibilità di provocare una morte dolorosa e umiliante.
Alabama: Kenneth Smith e quella pena di morte disumana con azoto è il primo caso al mondo – Reazioni e critiche
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha espresso preoccupazione, definendo l’ipossia da azoto come potenzialmente equivalente a tortura o degradante ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani. Nonostante le numerose critiche e gli appelli provenienti da varie parti, l’esecuzione ha avuto luogo.
Passato criminale di Kenneth Smith
La condanna di Smith risaliva al 1988, quando aveva assassinato Elizabeth Dorlene Sennett su commissione del marito della vittima, un pastore protestante che successivamente si suicidò. Inizialmente condannato all’ergastolo, un giudice aveva successivamente modificato la sentenza in pena di morte nel 1996.
Appelli ignorati e implicazioni etiche
Nonostante gli appelli contro l’utilizzo di un metodo ritenuto da alcuni esperti una forma di tortura, le autorità dell’Alabama hanno proceduto con l’innovativa esecuzione. L’Alto Commissario Onu per i diritti umani ha sottolineato l’incompatibilità della pena di morte con il diritto fondamentale alla vita, esortando gli Stati a considerare una moratoria come passo verso l’abolizione universale.
L’ipossia da azoto: criticità etiche e mediche
L’utilizzo della maschera d’azoto, mai impiegata sull’uomo prima di questa esecuzione, solleva interrogativi inquietanti sia dal punto di vista etico che medico-scientifico. L’azoto, se inalato in concentrazioni elevate, può interrompere processi vitali, ma la sua lentezza nel causare la morte solleva preoccupazioni sulla possibilità di prolungare l’agonia del condannato.
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