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“L’incredibile storia dell’isola delle rose” la recensione del film disponibile su Netflix
Disponibile su Netflix
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Regia: Sydney Sibilia
Cast: Elio Germano, Matilda De Angelis, Leonardo Lidi, Fabrizio Bentivoglio, Luca Zingaretti, François Cluzet, Tom Wlaschiha
Genere: Commedia, drammatico, storico
Durata: 117 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)
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Per quanto incredibile, come dice il titolo stesso, è la vera storia di Giorgio Rosa, un’ ingegnere meccanico bolognese, che creò un microstato indipendente al largo di Rimini. Le poche centinaia di metri quadrati della nazione chiamata ‘Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose’ erano quelle di una piattaforma artificiale. Progettata dallo stesso Giorgio Rosa.
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Reduce dall’ottima trilogia di “Smetto quando voglio”, Sydney Sibilia coinvolge il solitamente serioso Elio Germanio nella sua nuova follia cinematografica. Nonostante un accento bolognese più grottesco che realistico, l’attore romano riesce comunque a calarsi piuttosto bene in un ruolo assai distante da quelli a cui ci ha abituato. Il regista, infatti, lo coinvolge in una storia squisitamente anarchica (badate bene, non sovranista), dove si vuole enfatizzare lo spirito creativo italiano e non la voglia, molto in voga qui da noi di questi tempi, di chiudersi al ‘diverso’.
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“L’incredibile storia dell’isola delle rose”, al contrario, è un film coloratissimo, come piace a Sibilia, che, insieme alla fida cosceneggiatrice Francesca Maniera, dipinge un’ode ad un personaggio lucidamente folle e fuori da ogni epoca. Un “Ritorno al futuro all’italiana” dove, però, c’è molto poco di inventato e, invece, moltissima cronaca, seppur, come da titolo, “incredibile”. Un film punk che mette alla berlina l’omologazione per dare, invece, libero sfogo all’anarchia più totale. Un violento schiaffo alle istituzioni italiane (di ieri come di oggi), perfettamente incarnate dai satiricissimi personaggi di Luca Zingaretti e Fabrizio Bentivoglio.
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Sibilia dimostra, per l’ennesima volta, di sguazzare felicemente nelle storie di attualità che hanno il sapore di un funghetto allucinogeno. Come in “Smetto quando voglio” è abilissimo nell’infilarsi negli anfratti più extra-ordinari della cronaca per restituirli in tutta la loro forza grottesca. Notevolissima la sua regia, sempre col giusto ritmo e in grado di mantenere desta l’attenzione dello spettatore. Convincente e trascinante anche la colonna sonora, gioioso mix di classici italiani anni ’60 e qualche perla esterofila. Coerente anche il finale, che fa suo il motto dei Clash: “Ho combattuto la legge e la legge ha vinto”. Tutto bello, insomma, ma la prossima volta il regista dovrà uscire fuori dalla comfort zone del neorealismo allucinato per evitare di fare fotocopie in serie della sua fortunata trilogia d’esordio.
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