“Weapons” la recensione del film
Regia: Zach Cregger
Cast: Julia Garner, Josh Brolin, Cary Christopher, Benedict Wong, Alden Ehrenreich, Austin Abrams, Amy Madigan, Toby Huss, Justin Long
Paese: USA
Anno: 2025
Durata: 128 minuti
Genere: Horror
Distribuzione: Warner Bros
Voto: ♥♥♥ (su 5)
Zach Cregger tra fiaba nera e horror, con qualche passo falso – “Weapons” la recensione del film
Zach Cregger non è più “quello di Barbarian”. Con Weapons, il regista americano conferma di avere un’idea precisa di cosa sia il cinema horror oggi. Non un recinto chiuso fatto di jump scare e cliché, ma un terreno aperto. Dove far convivere il brivido, l’umorismo nero, la critica sociale e persino suggestioni da fiaba gotica. Il problema? Quando si punta in tante direzioni, il rischio è che lo sguardo si disperda e che la tensione si diluisca, soprattutto se la struttura narrativa finisce per ripetersi.
Il risultato è un film che funziona a metà: parte con un’idea folgorante e una costruzione intrigante, ma nella seconda parte smussa la sua carica di terrore per trasformarsi in una sorta di racconto morale, inquietante sì, ma meno incisivo sul piano emotivo rispetto all’inizio.
Un incipit folgorante – “Weapons” la recensione
Cregger lo sa bene: il primo colpo d’occhio è fondamentale. In Weapons, l’aggancio narrativo è un’immagine che resta impressa — tanto da essere stata al centro della campagna marketing: una notte, alle 2:17 del mattino, diciassette bambini di una classe elementare di Maybrook, Pennsylvania, escono di casa in perfetta sincronia, le braccia aperte come aeroplanini, e spariscono nel nulla. Nessuno li vede più. Nessun rapitore, nessun segno di lotta. Solo una misteriosa assenza, amplificata dal fatto che uno solo di loro — il piccolo Alex — resta a casa, illeso e apparentemente ignaro.
Questa apertura ha la forza delle leggende nere che si raccontano sottovoce. Ricorda il Pifferaio di Hamelin, evoca l’immaginario di Stephen King e porta in scena quell’America di provincia che sotto la patina di normalità custodisce tensioni e traumi mai risolti. E soprattutto mette subito lo spettatore in uno stato di allerta: è successo qualcosa di inspiegabile, e noi vogliamo capire cosa.
La scelta del mosaico narrativo – “Weapons” la recensione
Cregger decide di raccontare la storia come un mosaico, dividendola in capitoli, ognuno visto attraverso gli occhi di un personaggio diverso. La prima prospettiva è quella di Justine (Julia Garner), la maestra della classe “maledetta”, una donna segnata da un passato da alcolista e da una relazione clandestina con Paul, un poliziotto locale.
Poi tocca ad Archer Graff (Josh Brolin), padre di uno dei bambini scomparsi, che alterna la rabbia alla disperazione. Segue il punto di vista del preside, quello di un tossicodipendente, di un agente della polizia e infine del bambino superstite. Ogni segmento aggiunge un tassello, rivelando nuovi dettagli e alimentando il mistero.
Nella prima metà del film, questa struttura funziona benissimo: la tensione cresce, lo spettatore è costantemente stimolato a fare congetture, e ogni cambio di prospettiva apre un orizzonte inedito. È un approccio che ricorda il Rashomon di Kurosawa filtrato attraverso il cinema di genere, con la libertà di giocare con gli stereotipi dell’horror e al tempo stesso smontarli.
Dalla paura pura alla fiaba nera – “Weapons” la recensione
Eppure, man mano che la trama avanza, questo dispositivo narrativo perde parte della sua efficacia. La reiterazione dei punti di vista, che inizialmente moltiplica il senso di disorientamento, comincia a funzionare da freno alla tensione. Lo spettatore si abitua al meccanismo, il “cuore del terrore” si allontana e il film assume sempre più i toni di una fiaba nera.
Non che sia un male in assoluto: Cregger è bravo a evocare un’atmosfera sospesa, dove l’orrore convive con il grottesco, e non ha paura di inserire elementi surreali (come la visione di un mitra gigante nel cielo) che spezzano il realismo. Ma chi si aspettava un crescendo di terrore puro potrebbe rimanere leggermente deluso, perché la seconda metà si concentra più sulla simbologia e sull’allegoria che sul brivido viscerale.
Il finale e il ribaltamento della paura – “Weapons” la recensione
Se c’è un momento in cui il film recupera potenza, è il finale. Senza fare spoiler, si può dire che la “fonte” della paura subisce un ribaltamento imprevisto, che rimescola le carte e aggiunge una componente quasi catartica. C’è violenza, sì, ma anche un’ironia sottile che riequilibra i toni. È un epilogo che lascia il segno e che dimostra come Cregger sappia dosare l’impatto emotivo e la messa in scena visiva.
Gli attori: un cast in stato di grazia – “Weapons” la recensione
Una delle certezze di Weapons è il cast. Julia Garner conferma di essere un’interprete capace di passare dal registro drammatico a quello più ambiguo con naturalezza, dando a Justine una fragilità che si mescola a determinazione. Josh Brolin porta in scena un padre credibile, lontano dagli eroi senza macchia, con un dolore che traspare anche nei momenti di silenzio.
Benedict Wong, Alden Ehrenreich, Amy Madigan e Austin Abrams arricchiscono la coralità del racconto, ognuno con una presenza definita e funzionale al mosaico. Madigan, in particolare, sembra incarnare un personaggio uscito da un racconto di Stephen King, sospeso tra familiarità e inquietudine.
Regia, stile e influenze – “Weapons” la recensione
Dal punto di vista visivo, Cregger miscela linguaggi. C’è l’attenzione ai dettagli quotidiani tipica del cinema indipendente, ma anche una regia capace di inserire momenti spettacolari, come la sequenza iniziale della fuga notturna dei bambini, accompagnata in modo straniante dalla dolce Beware of Darkness di George Harrison.
Le influenze dichiarate spaziano: da Magnolia di Paul Thomas Anderson al metodo di scrittura “subconscio” di David Lynch, fino a Elephant di Gus Van Sant per l’uso della coralità. Ma il regista guarda anche alle fiabe oscure — oltre al Pifferaio di Hamelin, c’è un eco di Hansel e Gretel — e al suburban horror anni Ottanta, rivisitato con uno sguardo moderno.
Un horror che parla del presente – “Weapons” la recensione
Al di là della trama, Weapons tocca temi attuali: l’eccesso di cautele e procedure burocratiche che mascherano l’inerzia delle istituzioni; la tossicodipendenza come tragedia diffusa; l’incapacità degli adulti di proteggere davvero i bambini, schiacciati tra ipocrisia e autoindulgenza. In filigrana c’è anche un discorso personale: Cregger ha dichiarato di aver scritto il film per elaborare la perdita dell’amico e collega Trevor Moore, morto accidentalmente nel 2021.
Questa dimensione emotiva si sente, soprattutto nella rappresentazione di genitori apatici, incapaci di affrontare il lutto o anche solo di reagire in modo sano alla scomparsa dei figli. È un sottotesto che arricchisce il film e che lo distingue dal puro esercizio di stile.
L’umorismo nero come arma a doppio taglio – “Weapons” la recensione
Come Jordan Peele, Cregger viene dalla comicità, e questo si riflette nell’uso dell’umorismo nero. In Weapons, il sarcasmo e la battuta improvvisa sono strumenti per spezzare la tensione, ma anche per renderla più disturbante. Funziona in diversi momenti, soprattutto quando la risata arriva subito dopo una scena di violenza o di terrore.
Tuttavia, questo approccio può spiazzare chi si aspetta un horror “serio” dall’inizio alla fine. Alcuni spettatori potrebbero percepire certe svolte ironiche come stonature, soprattutto nel climax finale, che alterna splatter, comicità e chiusura morale.
Un film divisivo – “Weapons” la recensione
In definitiva, Weapons è un film destinato a dividere. Chi apprezza la commistione di generi, la struttura a capitoli e il gioco con le aspettative, lo troverà stimolante e originale. Chi invece cerca un horror lineare, tutto tensione e paura, potrebbe sentirsi tradito da un secondo atto che privilegia il simbolismo alla suspense.
Weapons ha momenti altissimi, un incipit da manuale e un finale capace di rianimare l’interesse, ma perde mordente nella parte centrale, quando la reiterazione del dispositivo narrativo smorza la tensione e ci allontana dal “cuore del terrore”. Il passaggio dalla paura pura alla fiaba nera è coerente con la visione dell’autore, ma non sempre soddisfa sul piano emotivo.
(Quasi) un piccolo classico contemporaneo – “Weapons” la recensione del film
Zach Cregger è un regista di talento, e Weapons lo conferma. Ha idee, stile, capacità di dirigere un cast corale e di intrecciare generi. Ma ha anche l’ardire — e il rischio — di sperimentare, e non sempre le sue scelte colpiscono il bersaglio.
Se Barbarian era una rivelazione, Weapons è una conferma a metà: dimostra che Cregger non vuole ripetersi e che ha una voce personale, ma anche che la complessità narrativa e il desiderio di sorprendere a ogni costo possono, talvolta, allontanare lo spettatore invece di catturarlo.
Un buon horror, con momenti di grande cinema e un’anima da fiaba nera, che lascia dietro di sé immagini forti e interrogativi. Ma anche la sensazione che, limando qualche eccesso e mantenendo più saldo il filo della tensione, avrebbe potuto essere un piccolo classico contemporaneo.
Francesco G. Balzano
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