8 Agosto 2025

“Una pallottola spuntata” (2025) la recensione del film

“Una pallottola spuntata” (2025) la recensione del film

“Una pallottola spuntata” (2025) la recensione del film

Regia: Akiva Schaffer

Cast: Liam Neeson, Pamela Anderson, Paul Walter Hauser, Kevin Durand, Danny Huston, CCH Pounder, Liza Koshy, Michael Beasley, Eddie Yu, Michael Bisping

Paese: USA

Anno: 2025

Durata: 85 minuti

Genere: Comico, azione, poliziesco

Distribuzione: Eagles Pictures

Voto: ♥♥1/2 (su 5)

Riesumare un cult del cinema comico come Una pallottola spuntata è una decisione che comporta più rischi che vantaggi. C’è di mezzo il ricordo intoccabile di Leslie Nielsen, l’eredità indelebile di Zucker-Abrahams-Zucker, ma anche l’amore di intere generazioni cresciute a pane e slapstick. Il reboot del 2025, diretto da Akiva Schaffer e interpretato da Liam Neeson, non ha la presunzione di sostituire l’originale. E infatti non lo fa. L’operazione è timida, calibrata, a tratti furba. Ma mai coraggiosa. E questa è forse la sua colpa più grande: l’aver scelto la via più sicura possibile.

La trama? Un pretesto, come sempre – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

Frank Drebin Jr., figlio dell’indimenticato Frank Drebin Sr., è un poliziotto che sembra uscito direttamente dalla penna di un autore nostalgico: impacciato, determinato, antisociale, eppure stranamente efficace. Quando una serie di indizi lo porta a indagare sulla morte sospetta di un uomo apparentemente suicida, scopre un complotto che coinvolge Richard Cane, un magnate della tecnologia deciso a riportare l’umanità a uno stato ferino e primitivo.

La trama, va detto, è solo un pretesto. Lo era anche nell’originale. Nessuno andava a vedere Una pallottola spuntata per la tensione narrativa. Il vero motore della pellicola è da sempre la sequenza serrata di gag, situazioni assurde e battute nonsense. Qui il meccanismo è lo stesso, ma il carburante non sempre funziona. Alcuni sketch sono brillanti, altri arrancano. La costruzione comica è altalenante, con picchi di follia pura e momenti in cui la risata si spegne ancor prima di nascere.

Un umorismo che guarda indietro – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

Il reboot del 2025 è chiaramente rivolto a un pubblico cresciuto con il mito di Frank Drebin. Gli spettatori giovani, quelli che non hanno mai visto l’originale o che non ne conoscono i riferimenti, potrebbero sentirsi spaesati. Il film si regge sulla nostalgia, sulle strizzate d’occhio e sugli omaggi, più che su una reale voglia di innovare il genere. La sequenza della sirena della polizia, l’auto che taglia le strade più impensabili, non apre più il film ma ne chiude i titoli di coda. Un gesto affettuoso, quasi malinconico.

C’è anche una citazione ai vecchi comprimari: George Kennedy, O.J. Simpson, Priscilla Presley. Alcuni vengono omaggiati, altri diventano bersaglio di battute feroci (e azzeccate). Ma tutto ciò rafforza l’idea che questo film viva più nel ricordo che nel presente.

Liam Neeson: tra autoironia e fatica – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

L’idea di affidare a Liam Neeson il ruolo del nuovo Drebin sembrava inizialmente bizzarra. Un attore noto per i ruoli drammatici e i revenge movie era davvero la scelta giusta per reinterpretare un’icona del demenziale? A conti fatti, sì e no. Neeson fa del suo meglio. Non cerca mai di imitare Leslie Nielsen, e questo è già un merito. Si muove con rigore, recita con serietà, ed è proprio questo suo “non recitare per far ridere” che in certi momenti funziona. In altri, però, il suo carisma finisce per appiattire la comicità, quasi la intrappola. Sembra sempre trattenuto, come se non sapesse se può davvero lasciarsi andare al nonsense totale.

Va detto però che Neeson, quando si diverte, riesce anche a divertire. La scena del pupazzo di neve – un’esplosione di surrealismo puro – è una delle poche in cui si avverte la totale libertà creativa. E non a caso è quella che fa ridere di più. Ma sono momenti isolati, troppo sporadici per sostenere un film intero.

Pamela Anderson e l’autoironia che salva – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

Se c’è una presenza che sorprende davvero in positivo, è quella di Pamela Anderson. Lontana anni luce dalla bagnina che il pubblico ricorda, Anderson accetta il proprio passato e lo trasforma in un punto di forza. Non ha paura di mostrare le rughe, di prendersi in giro, di esagerare. La sua femme fatale è una caricatura dichiarata, una parodia consapevole che si inserisce perfettamente nel tono del film. È, in fondo, la spalla comica ideale per un protagonista trattenuto come Neeson.

Il fatto che sia una donna over 50 a interpretare il ruolo “seducente” di turno è un segnale interessante, soprattutto in una commedia che strizza l’occhio agli anni ’80. Ma la Anderson non è lì per piacere: è lì per far ridere. E ci riesce meglio di molti altri.

La regia: un compitino eseguito con diligenza – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

Akiva Schaffer, già regista di Cip & Ciop agenti speciali, dimostra una buona conoscenza della materia. Sa cosa si aspetta il pubblico e non si prende troppe libertà. La regia è funzionale, pulita, senza guizzi. Le inquadrature servono le gag, mai viceversa. Ma manca quel tocco anarchico che caratterizzava la trilogia originale. Manca il senso del caos, il ritmo frenetico, la sensazione che da un momento all’altro tutto possa esplodere.

Qui tutto è calcolato, incasellato, rassicurante. Non c’è mai vera follia. Anche le battute più azzardate sono ammorbidite, come se temessero di offendere. E forse è questo il segno dei tempi: Una pallottola spuntata (2025) vuole essere divertente ma mai scomodo. E il politically correct, in un film che dovrebbe prendere in giro tutto e tutti, finisce per essere una camicia di forza.

La sceneggiatura: onesta ma prevedibile – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

Il copione, firmato dallo stesso Schaffer insieme a Dan Gregor e Doug Mand, ricalca fedelmente la struttura del film del 1988. C’è l’indagine poliziesca, il dispositivo per controllare le menti, il finale durante un evento sportivo. C’è tutto quello che ci si aspetta. Ma nulla che sorprenda davvero. È come rivedere un episodio di una vecchia serie TV: piacevole, ma privo di sorprese.

Le battute migliori sono quelle visive: le matrioske di set televisivi, il cameriere con l’acqua “scintillante”, il già citato pupazzo di neve. Quelle verbali soffrono spesso nella traduzione. Un tempo, il doppiaggio italiano era capace di reinventare gag per renderle comprensibili e divertenti anche fuori dal contesto linguistico originale. Oggi si preferisce una fedeltà sterile, che spesso sacrifica la risata sull’altare dell’esattezza.

Un film costruito per una nicchia precisa – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

Non è un caso che Una pallottola spuntata (2025) si rivolga in maniera esplicita a un pubblico ben preciso: quello dei cinquantenni e oltre. Chi ha amato il primo film, chi conosce a memoria le battute di Frank Drebin, troverà qui pane per i propri denti. Non tanto perché il film sia all’altezza dell’originale, ma perché ne evoca continuamente lo spirito.

Per il pubblico più giovane, invece, l’operazione potrebbe risultare faticosa. Il ritmo è a tratti lento, la comicità troppo autoreferenziale. E senza il filtro della nostalgia, il film rischia di apparire solo come una serie di gag slegate tra loro. È un film che chiede di essere capito più che semplicemente goduto. E questa non è sempre una buona cosa per una commedia.

L’influenza di Seth MacFarlane – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

Il nome di Seth MacFarlane tra i produttori non è un caso. L’influenza de I Griffin si percepisce in molti momenti: nella comicità surreale, nei rimandi pop, nella capacità di ribaltare il senso di una scena con un solo dettaglio. Ma è un’influenza più teorica che pratica. Il film non ha il coraggio di spingersi fino in fondo nell’assurdo, come invece fa regolarmente la serie animata di MacFarlane.

Il risultato è un ibrido: una commedia slapstick che però non osa mai davvero deragliare. Un film che si ferma sempre un attimo prima del delirio, forse per non turbare, forse per non sbagliare. Ma in questo modo perde parte del suo potenziale. Perché se non si ride a crepapelle, cosa resta?

Il senso (o non-senso) di un reboot – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

Alla fine della visione, resta una domanda: perché rifarlo? A chi serviva? Non è semplice rispondere. Sicuramente c’era la voglia di riportare alla luce un personaggio amato, di offrire un momento di leggerezza in un panorama spesso troppo serioso. E questo intento è nobile. Ma l’esecuzione resta timida, come se il film stesso sapesse di essere di troppo.

In fondo, Una pallottola spuntata (2025) non è un disastro. Non è nemmeno un insulto all’originale. È semplicemente un film che non lascia traccia. Che esiste senza disturbare, che scivola via senza opporre resistenza. Un film che accarezza il passato senza mai stringerlo davvero. Un’operazione nostalgica che, per quanto inutile, riesce almeno a non fare danni.

Una comfort zone generazionale – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

Il vero cuore del film è questo: la consolazione. Una bolla di familiarità, una coperta calda per chi ha bisogno di tornare, per un’ora e mezza, a un tempo in cui si rideva di più e si pensava di meno. Non c’è niente di male in questo. Anzi, a volte è proprio quello che serve. Ma non basta a giustificare la rinascita di un cult. Non se il risultato è un’imitazione sbiadita, un’eco lontana di ciò che fu.

Un reboot che si accontenta di non deludere – “Una pallottola spuntata” (2025) la recensione

Una pallottola spuntata (2025) è un film che non osa, non innova, non sorprende. Ma nemmeno rovina. Si muove su binari sicuri, regala qualche risata, offre un paio di momenti memorabili. Liam Neeson fa il suo dovere, Pamela Anderson è una sorpresa gradita, la regia è diligente. Ma manca la scintilla. Quella follia incontrollata che faceva grande l’originale. Qui tutto è sotto controllo. Troppo.

Per chi ha amato la saga, può essere un’occasione per sorridere con affetto. Per tutti gli altri, un film guardabile e innocuo, ma dimenticabile.

Francesco G. Balzano

“BRING HER BACK” LA RECENSIONE DEL FILM

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