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“Artemis Fowl” la recensione del film

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“Artemis Fowl” la recensione del film

“Artemis Fowl” la recensione del film

Disponibile su disneyplus.com

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Regia: Kenneth Branagh
Cast: Ferdia Shaw, Lara McDonnell, Nonso Anozie, Josh Gad, Judi Dench, Miranda Raison, Colin Farrell, Hong Chau, Adrian Scarborough
Genere: Avventura, Fantastico, Fantascienza
Durata: 94 minuti
Voto: ♥ 1/2 (su 5)

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La trama

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Artemis, un geniale ragazzino di dodici anni, vive alla residenza dei Fowl con il padre vedovo Artemis Sr., che gli trasmette la sua conoscenza delle fiabe irlandesi. Durante uno dei suoi viaggi d’affari, Artemis Sr. scompare dalla sua barca, la Fowl Star , accusata del furto di numerosi manufatti inestimabili trovati a bordo. E Artemis riceve una chiamata da una figura incappucciata. Quest’ultima tiene prigioniero suo padre e concede ad Artemis tre giorni per recuperare il manufatto magico chiamato Aculos, che Artemis Sr. ha rubato e nascosto. Domovoi “Dom” Leale, la guardia del corpo di Artemis, gli mostra una biblioteca nascosta dove generazioni di Fowl hanno catalogato le prove dell’esistenza di creature magiche.

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Il nostro giudizio

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Nelle intenzioni del regista Kenneth Branagh, “Artemis Fowl” doveva essere un “Die Hard con le fate”. Ma, a conti fatti, ci si trova davanti ad un filmetto per famiglie pieno di imprecisioni sia tecniche che di sceneggiatura. In fase di montaggio, infatti, si è deciso di ridurre la pellicola a poco più di un’ora e mezza di durata, quando, invece, il materiale narrativo fornito dalla saga letteraria avrebbe richiesto molto più tempo. Così, lo spettatore si ritrova immerso in una storia a volte insensata, che va a doppia velocità e costellata di personaggi senza spessore, se non, in alcuni casi, addirittura inutili. Va peggio, poi, quando si cerca di truccare di difetti con effetti speciali rivedibili, resi ancora più ingiustificabili da un budget a disposizione che non era nemmeno basso.

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Chi ha letto i romanzi della saga dedicata ad “Artemis Fowl” giura che la sua trasposizione cinematografica è molto al di sotto delle attese. Tendiamo a crederci, perché il protagonista più che un genio del crimine, come ci viene descritto, sembra un ragazzino presuntoso e piuttosto antipatico a cui è davvero difficile affezionarsi. Doveva essere, invece, una mente geniale in grado di mettere a segno, grazie ad un intelligenza machiavellica, una serie di grandi colpi. Nel film di Branagh tutto questo viene messo da parte per lasciare spazio ad una storia banale, dove non c’è un colpo di scena degno di questo nome e, perciò, tutto scorre sin troppo liscio.

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“Artemis Fowl” la recensione del film

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Pure il parallelo mondo di fate e nani con cui il protagonista entra in conflitto viene svilito sino a diventare superfluo. Se nella versione letteraria questi personaggi si rivelano ossi duri da affrontare anche per l’acuto Artemis Fowl, in questa trasposizione diventano avversari facili da tenere a bada. Il film manca di cattiveria, di spietatezza, probabilmente per volontà Disney preoccupata di compiacere il pubblico dei giovanissimi. La scelta può anche essere sensata, ma allora perché sprecare una saga che poteva regalare emozioni più forti e per un pubblico più eterogeneo?

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Il film, poi, butta all’aria anche un cast adulto piuttosto valido, che vanta nomi di primissimo piano come Colin Farrell, Judi Dench e Josh Gad. Anche loro, in fondo, appaiono poco convinti di questa operazione e si limitano ad assecondare una sceneggiatura scialba e che punta all’essenziale, per giunta col minimo sforzo. Non si può dire, comunque, che “Artemis Fowl” sia un film senza pubblico, anzi, se possibile il suo principale problema sta proprio qui. La pellicola, infatti, parla solo ad una platea di età pari od inferiore a quella del protagonista e non si preoccupa minimamente di farsi ascoltare dagli altri. In fondo, la scelta di lanciarlo solo sulla piattaforma Disney Plus è piuttosto azzeccata, perché è un prodotto digeribile solo sul comodo divano di casa.

Francesco G. Balzano

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“FAVOLACCE” LA RECENSIONE DEL FILM

“Favolacce” la recensione del film

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“Favolacce” la recensione del film

“Favolacce” la recensione del film

Disponibile su primevideo.com

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Regia: Damiano e Fabio D’Innocenzo
Cast: Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Gabriel Montesi, Max Malatesta, Ileana D’Ambra, Giulia Melillo, Cristiana Pelligrino, Lino Musella, Justin Korovkin, Tommaso Di Cola, Giulietta Rebeggiani, Max Tortora
Genere: Drammatico
Durata: 98 minuti
Voto: ♥ (su 5)

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La trama

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Nella periferia meridionale di Roma vive una comunità di famiglie che svolgono una vita apparentemente normale e monotona. Nonostante ciò, ogni famiglia nasconde delle piccole verità, spesso poco piacevoli. Bruno, sposato con Dalila, è il padre di due figli dodicenni estremamente educati e istruiti, tanto da avere il massimo in ogni materia a scuola. Ma che in realtà non sono per nulla felici, vittime dei comportamenti rabbiosi proprio dei loro genitori. Amelio vive in un prefabbricato con il suo timido figlio Geremia, convinto di sapere sempre cosa sia meglio per il ragazzo. Vilma è una giovane ragazza che aspetta un figlio dal suo fidanzato. La monotonia porta anche altri ragazzini ad affacciarsi al mondo dell’adolescenza.

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Il nostro giudizio

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Dopo il loro film d’esordio, “La terra dell’abbastanza”, i fratelli D’Innocenzo tornano a raccontare la periferia romana. A guardar bene, però, di periferia capitolina c’è davvero poco e sembra di ritrovarsi, piuttosto, in un non-luogo fatto di villini in stile statunitense. Più
che a Spinaceto o Casal Bruciato, insomma, sembra di essere nella periferia di Los Angeles. Del resto, la sensazione che i registi abbiano guardato più e più volte “Alpha Dog” di Nick Cassavetes è fin troppo evidente.

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Dunque, i fratelli D’Innocenzo danno riferimenti geografici solo sulla carta, perché sul grande schermo, invece, hanno ambizioni molto più grandi e la periferia romana serve solo a dare colore a certi dialoghi sboccati. “Favolacce”, infatti, sguazza nel cattivo gusto con lo stesso divertimento con cui i maiali si tuffano nel fango. Il film, a vedere bene, altro non è se non una collezione di battutacce, situazioni scabrose ed imbarazzanti. Il tutto per descrivere, in maniera del tutto fittizia, un’assurda guerra tra due mondi: quello degli adulti e quello degli adolescenti. Quando esplorano questi due pianeti, però, i registi perdono le coordinate (sempre che le abbiano mai avute) ed esagerano in tutto, anche nella direzione degli attori. I ragazzi sono tutti privi di vitalità (chissà perché) e praticamente muti (quasi meglio così, in molti casi). I grandi, invece, urlano, sbraitano e offrono interpretazioni sopra le righe. Persino Elio Germano, solitamente sempre molto ben centrato nei suoi personaggi, qui sembra la brutta copia del protagonista de “La nostra vita”.

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“Favolacce” la recensione del film

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“Favolacce” è un film che non ha alcuna ragione di esistere. Ha un unico intento: quello di impressionare lo spettatore. Tutto il resto, non conta, non serve, è inutile. Parliamoci chiaro: non è che la pellicola abbia un significato recondito, che necessita di essere spiegato al termine della visione. Niente affatto. La storia è chiarissima, ma non si capisce da dove nasca l’esigenza di raccontarla. Il doversi dare una cifra autoriale giustifica, perché no, il fatto che si parta dalla realtà per, poi, sfociare nell’onirico. Ma l’onirico senza una base solida diventa un esperimento surreale, un esercizio di stile, un narcisistico guardarsi allo specchio.

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Siccome, però, fare Cinema significa anche parlare ad un pubblico, allora è necessario, pur con tutti i guizzi autocompiaciuti, averne rispetto e considerazione. Bisogna, inoltre, sottolineare che i fratelli D’Innocenzo sono ancora alla ricerca di un proprio stile, perché oltre ad una scopiazzatura, piuttosto accurata, di altri cineasti si vede ben poco. “Favolacce” è un film con pretese ma senza basi, dove il cinema in stile Garrone incontra l’indipendentismo statunitense, però senza trovare l’amalgama. E’ un pasticcio con capo e con coda ma senza anima, per giunta con gravi problemi tecnici (l’audio, infatti, è problematico e molti dialoghi sono difficilmente decifrabili). Se è una scelta voluta, come qualcuno sostiene, allora è l’ennesima riprova che gli emergenti D’Innocenzo sono bravi a darsi le arie, ma molto meno a fare Cinema.

Francesco G. Balzano

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“CURON” RECENSIONE SERIE

“Curon” recensione serie

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“Curon” recensione serie

“Curon” recensione serie

disponibile su Netflix

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Regia: Fabio Mollo, Lyda Patitucci
Cast: Valeria Bilello, Luca Lionello, Federico Russo, Margherita Morchio, Anna Ferzetti, Alessandro Tedeschi, Juju Di Domenico, Giulio Brizzi, Max Malatesta, Luca Castellano
Genere: Serie Tv Thriller
Numero episodi: 7
Voto: ♥ (su 5)

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La trama

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L’idea da cui nasce la serie Curon è intrigante. Secondo una leggenda molto in voga in questo piccolo comune dell’Alto Adige, a pochi chilometri dal confine austriaco, è possibile ascoltare il suono delle campane dal campanile, appunto, che emerge dal lago di Resia. Questo, però, solo nelle giornate d’inverno, quelle più fredde e buie, però. Cosa c’è di strano, direte voi. Nulla, se tralasciamo il fatto che le campane sono state rimosse dal campanile 70 anni fa.

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Il nostro giudizio

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Capite bene, dunque, che da una trama tanto scarna quanto avvincente c’era da aspettarsi una serie horror coi fiocchi. Se non un capolavoro, almeno un qualcosa di piacevole per gli occhi. Come ciò non sia stato possibile lo sanno solo gli autori di questa ennesima serie flop made in Italy e targata Netflix. Ezio Abbate, Ivano Fachin, Giovanni Galassi e Tommaso Matano (questi i loro nomi) hanno preso degli ottimi ingredienti per terrorizzare gli spettatori e li hanno trasformati in elementi buoni per uno “Scary Movie” in salsa tricolore.

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Più ci si addentra nei sette episodi che compongono la prima stagione di “Curon”, infatti, e più si ha l’impressione di trovarsi davanti ad una spassosa parodia del faro “Dark”. La serie vorrebbe approfondire molte tematiche, anche interessanti almeno sulla carta, ma lo fa con un pauroso dilettantismo indegno di un marchio come Netflix. La scrittura ha mille buchi e non solo non è credibile (è pur sempre un fantasy, d’accordo), ma si dimentica persino di fare i conti con la verosimiglianza, caratteristica richiesta a qualsiasi tipo di fiction.

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Le falle della sceneggiatura, poi, non vengono bilanciate da una recitazione all’altezza, anzi accade l’esatto contrario. Il cast, sia ‘adulto’ che ‘giovane’, non è adeguato alla situazione e contribuisce, con interpretazioni scialbe e assolutamente fuori registro, a dar vita a molte (troppe) scene cariche di comicità involontaria. In “Curon”, dunque, non funziona davvero nulla ed è un vero peccato, perché le premesse e le attese create nello spettatore dovevano essere ben altre. Doveva essere la risposta italiana a “Dark”, ma, ahimé, più che una risposta si è rivelata una battuta. Di pessimo gusto, per giunta.

Francesco G. Balzano

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“ODIO L’ESTATE” LA RECENSIONE DEL FILM

“Odio l’estate” la recensione del film

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“Odio l’estate” la recensione del film

“Odio l’estate” la recensione del film

Distribuzione: Medusa Film 

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Regia: Massimo Venier
Cast: Aldo, Giovanni, Giacomo, Lucia Mascino, Carlotta Natoli, Maria Di Biase, Massimo Ranieri, Davide Calgaro, Ilary Marzo, Michele Placido, Sabrina Martina, Melissa Marzo
Genere: Commedia
Durata: 110 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

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La trama

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Tre uomini decidono di trascorrere le vacanze estive in un’isola a largo delle coste italiche, ognuno insieme alla rispettiva famiglia. Non conoscendosi, scelgono la stessa meta estiva, la stessa spiaggia e si ritrovano anche ad affittare la stessa casa…tutti nello stesso periodo. Sono totalmente diversi l’uno dall’altro. Aldo è un tamarro senza un lavoro fisso, è ipocondriaco, ha una passione per Massimo Ranieri. Vive con un cane di nome Brian, una moglie che urla invece di parlare, e i figli Ilary e Salvo. Giovanni è uno organizzato, preciso, gestisce un’impresa prossima al fallimento e viaggia con la moglie e la figlia Alessia. Infine, c’è Giacomo, medico di successo che non riesce, però, ad avere un rapporto con il figlioletto in piena pubertà.

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Sembra di essere tornati tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo millennio, quando i film del trio furoreggiavano nelle nostre sale

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Dopo una pausa di poco più di 15 anni, Aldo, Giovanni e Giacomo riprendono, saggiamente, la collaborazione col loro regista di fiducia, Massimo Venier. Una scelta azzeccata, perché era l’unico modo per reindirizzare la loro vena artistica su una strada cinematografica correttamente tratteggiata. La storia è semplice ed efficace e il racconto insiste, ancora una volta ma senza annoiare, sulla loro inossidabile amicizia. Sembra di essere tornati tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo millennio, quando i film del trio furoreggiavano nelle nostre sale. La voglia, in effetti, è quella di fornire un effetto nostalgia, inserendo, però, quegli stessi personaggi nella modernità. Ecco, dunque, Giovanni alle prese con una bottega di famiglia destinata alla chiusura e Giacomo, che deve combattere da genitore non biologico con un figlio maleducato e sempre incollato all’iPad.

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“Odio l’estate” è il trampolino di (ri)lancio di Aldo Giovanni e Giacomo

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Con “Odio l’estate” Aldo, Giovanni e Giacomo tracciano nuove vie d’uscita per la loro comicità, che sembrava ormai segnata da una data di scadenza. Questo film è il loro trampolino di (ri)lancio, perché si, sono ancora legati a un passato che li obbliga all’autocitazionismo, però hanno anche il coraggio di osare nel parlare un linguaggio se non nuovo, almeno diverso. Soprattutto, hanno aperto il loro mondo maschile (ma mai maschilista) all’universo femminile. Finalmente, nel cast troviamo tre attrici di razza (Maria Di Biase, Carlotta Natoli e Cinzia Mascino), che entrano prepotentemente nella storia ed hanno un ruolo ben definito.

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“Odio l’estate” la recensione del film

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Il trio si mette, a tratti, da parte per lasciare spazio e scena alle compagne di viaggio. La loro comicità è meno istintiva e prorompente, ma si lascia incanalare in una sceneggiatura solida e ben strutturata, dove le risate di grana grossa si sacrificano in nome di una storia gradevole. Il nuovo meccanismo, insomma, non ripudia i vecchi ingranaggi, ma toglie loro la ruggine e li olia a dovere, per farli tornare a girare come ai vecchi tempi, seppur in maniera diversa. Bene Michele Placido, che nelle sue apparizioni dimostra di avere un’ottima sintonia comica con Aldo, Giovanni e Giacomo. Piacevole, seppur molto decontestualizzata, la comparsata del sempre bravo Roberto Citran. Funziona anche il cast di giovani e giovanissimi, in particolare Edoardo Vaino (Ludovico), che dà vita ad un personaggio perfettamente caratterizzato dalla sceneggiatura.

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“Odio l’estate” è diretto parente di “Chiedimi se sono felice”, ma ha ambizioni più alte

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“Odio l’estate” è un film maturo, tra i migliori (se non il migliore) del trio. E’ diretto parente di “Chiedimi se sono felice”, ma ha ambizioni più alte, giustificate dall’età dei tre protagonisti. Ciò, però, non equivale ad esserne all’altezza. Quando la pellicola svolta su tonalità blandamente drammatiche, infatti, sbanda e non tiene più la strada come un tempo. Nulla di grave, però, perché il coraggio va sempre premiato. Anche se costa una brutta ammaccatura su una macchina, sin lì, perfettamente stabile ed affidabile.

Francesco G. Balzano

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“FIGLI” LA RECENSIONE DEL FILM

“Figli” la recensione del film

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“Figli” la recensione del film

“Figli” la recensione del film

Distribuzione: Vision Distribution

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Regia: Giuseppe Bonito
Cast: Valerio Mastandrea, Paola Cortellesi, Stefano Fresi, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Andrea Sartoretti, Massimo De Lorenzo, Gianfelice Imparato, Carlo de Ruggeri, Betti Pedrazzi
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 97 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

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La trama

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Nicola e Sara sono una coppia innamorata e felice. Sposati da tempo, hanno una figlia di sei anni e una vita che scorre senza intoppi. Ma quella che era iniziata come una dolce fiaba romantica si trasforma in un vero incubo con l’arrivo di Pietro, il secondo figlio della coppia. Quella che sembrava una perfetta famiglia media inizia a mostrare i primi squilibri e i due coniugi si ritroveranno a scontrarsi con l’imprevedibile. Iniziano così a emergere vecchi rancori, insoddisfazioni che non riescono più a essere celate e ogni minimo disaccordo sembra essere motivo di litigio.

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“Figli” la recensione del film

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Era il 2002 quando Mattia Torre, grazie anche alla regia di Alessandro D’Alatri, regalava alla cinematografia italiana “Casomai”. Un film piccolo, un gioiellino, che, però, ritraeva perfettamente la nostra società e i nuovi ‘invisibili’: quelle giovani (più o meno) coppie desiderose di metter su famiglia. Una lotta ad ostacoli raccontata con la giusta ironia, quella che lascia l’amaro in bocca, quella di chi, come i due protagonisti, si sente abbandonato da tutti: dallo Stato ma anche e (forse) soprattutto dai genitori.

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Potremmo considerare “Figli” un “Casomai 2.0”

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Le cose non sono affatto cambiate da allora, anzi, ed è per questo che potremmo considerare tranquillamente “Figli” un “Casomai 2.0”. Qui, però, c’è un piccolo ma significativo passo avanti: la coppia formata da Cortellesi e Mastandrea ha voglia da uscire dall’isolamento in cui la società, forzatamente, la costringe. Una scena emblematica, in questo, senso è quando Nicola urla al mondo la sua gioia per l’arrivo del secondo figlio e riceve, miseramente, uno “sticazzi!” da un passante a caso. I due, però, non si arrendono, hanno voglia di emergere, di palesarsi.

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Il film è, in apparenza, molto leggero eppure riesce a cogliere la frustrazione, molto presente in tutti i genitori

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La sceneggiatura di Mattia Torre è matura, esperta, capace di cogliere il tragicomico che abbonda nella situazione di chi decide di mettere al mondo uno o più figli al giorno d’oggi. Il film è, in apparenza, molto leggero eppure riesce a cogliere la frustrazione, molto presente in tutti i genitori e che si svela anche in gesti che dovrebbero essere di cura, d’affetto. Tristemente spassoso, in tal senso, è l’accento che si mette nel sottolineare la ‘violenza’ che le mamme e i papà imprimono nel terzo passaggio di pulizia della bocca dei bambini.

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Lo stratagemma di inserire i protagonisti in uno sfondo bianco latte rende benissimo l’idea del loro stato di isolati totali.

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Le pecche di questo film sono, purtroppo, tutte nella regia inappropriatamente anonima di Giuseppe Bonito. C’è molto rispetto per Mattia Torre, questo si, tanto che si lancia in una scopiazzatura del televisivo “La linea verticale”. Lo stratagemma di inserire i protagonisti in uno sfondo bianco latte, come nella serie ospedaliera, rende benissimo l’idea del loro stato di isolati totali. Però questa sceneggiatura aveva un vitale bisogno di trovare una sua personalizzazione anche nella messa in scena.

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Tutto si riduce ad una lunga riflessione, con momenti divertenti, su una serie di cliché nei quali tutti i genitori potranno riconoscersi.

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Invece, Bonito si limita al compitino, ha paura di sbagliare, di non omaggiare nel migliore dei modi il prematuramente scomparso Torre. Il regista gira col freno a mano tirato, non dà ritmo al racconto, che si muove lentamente, troppo lentamente, con l’andatura di un monologo (perché da lì tutto nasce). Ma se Mastandrea, a teatro, con “I figli invecchiano”, era riuscito con la giusta modulazione vocale a sottolineare i momenti topici, in “Figli”, a livello visivo, manca proprio questo. Così tutto si riduce ad una lunga riflessione, con momenti divertenti, su una serie di cliché nei quali tutti i genitori potranno riconoscersi.

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“Figli” la recensione del film

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Ecco, allora, elencate le difficoltà nel fare accettare il nuovo arrivato alla prole già esistente. La (quasi) impossibilità di far convivere genitorialità e carriera, gli ostacoli nel trovare la baby-sitter adatta e, infine, gli intramontabili e irrisolvibili conflitti generazionali coi genitori, maggioranza assoluta e manovratori indisturbati al timone della nostra società. Tristemente bello il messaggio lanciato nel finale, sulla necessità di accettare ciò che capita, come un qualcosa che appartiene a noi stessi. Un messaggio che, se trasferito nella lettura del destino di Mattia Torre, rende tutto molto più commovente.

Francesco G. Balzano

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JOJO RABBIT LA RECENSIONE DEL FILM

“Jojo Rabbit” la recensione del film

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“Jojo Rabbit” la recensione del film

“Jojo Rabbit” la recensione del film

Distribuzione: Walt Disney Italia / 20th Century Fox

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Regia: Taika Waititi
Cast: Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Scarlett Johansson, Sam Rockwell, Archie Yates, Rebel Wilson, Alfie Allen, Stephen Merchant
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 108 minuti
Voto: ♥♥♥1/2 (su 5)

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La trama

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E’ la storia di un dolce e timido bambino tedesco di dieci anni, Jojo Betzler, soprannominato “Rabbit”, appartenente alla Gioventù hitleriana durante i violenti anni della Seconda guerra mondiale. Siamo nella Germania del 1944, il padre di Jojo è al fronte in Italia, mentre sua madre, Rose, si prende cura di lui, dopo la morte della sorella. Il bambino trascorre le sue giornate in compagnia di Yorki, il suo unico vero amico, e frequentando un campo per giovani nazisti, gestito dal capitano Klenzendorf. Sebbene sia considerato strambo dai suoi coetanei, il ragazzo si sente un nazista avvantaggiato perché ha un amico immaginario molto particolare. Una versione grottesca e caricaturale di Adolf Hitler. Jojo odia gli ebrei, nonostante non ne abbia mai visto uno, è fermamente convinto che sia giusto ucciderli.

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Una commedia dai toni surreali che, però, non dimentica mai la tragedia che sta raccontando

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Taika Waititi, regista di padre maori e madre ebrea, affronta col giusto coraggio una delle pagine più nere della Storia. Quel regime nazista che, ancora oggi, purtroppo ha putridi echi nella nostra società. Lo fa, però, senza avere la presunzione di ricostruire quell’epoca in maniera didascalica, ma, più semplicemente (ed efficacemente), parodiandone estetica e (chiamiamoli così) ideali. Ne vien fuori una commedia dai toni surreali che, però, non dimentica mai la tragedia che sta raccontando.

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Dietro la risata si cela uno spirito caustico utile proprio a ridicolizzare delle fantasie che molti, troppi, hanno scambiato per verità addirittura scientifiche

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Come “La vita è bella”, infatti, anche “Jojo Rabbit” ha un’anima giocosa, che qualcuno potrebbe incautamente definire inappropriata, però nessuno spettatore potrà sostenere che si è osato giocare con eventi drammatici. Dietro la risata, infatti, si cela uno spirito caustico utile proprio a ridicolizzare delle fantasie che molti, troppi, hanno scambiato per verità addirittura scientifiche. Il punto di riferimento di questo film, non è, però, il capolavoro di Benigni, quanto piuttosto Wes Anderson per l’estetica e un mix di Edgar Wright e Jim Jarmusch per la pungente ironia. L’unica perplessità che lascia questa pellicola sta proprio qui: nell’incapacità di Waititi di seguire una strada propria. Preferisce, piuttosto, scegliere dei punti di riferimento (giusti) e scopiazzarli (in modo, però, perfetto) fino a diventare, quasi, manierista.

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Il film riesce a narrare nel modo giusto una tematica complessa semplificandola, forse, ma riuscendo a colpire il bersaglio con meticolosa essenzialità

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Sottigliezze, comunque, roba da attenti analisti cinematografici. Nella sostanza, “Jojo Rabbit” rimane un film necessario e azzeccato sia per tematiche che per linguaggio. E’, infatti, fondamentale raccontare il nazismo e la shoah al pubblico più giovane, quello che, per anagrafe, non potrà (quasi) più giovare dei preziosi racconti dei sopravvissuti ai campi di concentramento. Il film, appunto, riesce a narrare nel modo giusto una tematica complessa semplificandola, forse, ma riuscendo a colpire il bersaglio con meticolosa essenzialità.

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“Jojo Rabbit” la recensione del film

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Una pellicola che, pur essendo ambientata in un’epoca lontana, parla un idioma, ahinoi, attualissimo. Il bullismo, la paura del diverso, il body shaming e le difficoltà d’integrazione sono argomenti davanti ai quali nessuno può permettersi di girare le spalle. Perché Hitler è morto, ma i suoi tanti fantasmi continuano ad affacciarsi alle nostre finestre, soprattutto quelle dei nostri ragazzi che, con troppa facilità, tendono ad aprirgli. “Jojo Rabbit”, invece, è un’opera punk che li invita a dargli un calcio per rigettarlo fuori e farlo tornare (per sempre) da dove è venuto.

Francesco G. Balzano

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“TOLO TOLO” LA RECENSIONE DEL FILM

“Aladdin” la scheda del film

“Aladdin”, scheda del film di Guy Ritchie con Will Smith leggi la trama e guarda il trailer.

Il trailer di “Aladdin”

“Aladdin” la scheda del film

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Regia: Guy Ritchie
Cast: Will Smith, Gigi Proietti, Mena Massoud, Billy Magnussen, Naomi Scott, Nasim Pedrad, Navid Negahban, Kamil Lemieszewski, Marwan Kenzari, Numan Acar, Bern Collaço
Genere: avventura
Durata: 128 minuti
Voto: OOO *

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Aladdin, è un amabile ragazzo di strada ansioso di abbandonare la propria vita da furfante poiché convinto di essere destinato a qualcosa di più grande. Dall’altra parte della città di Agrabah, la figlia del Sultano, la Principessa Jasmine, coltiva a sua volta i propri sogni. Desidera una vita fuori dalle mura del palazzo e vorrebbe utilizzare il proprio titolo nobiliare per aiutare gli abitanti di Agrabah. Dall’altra parte della città di Agrabah, la figlia del Sultano, la Principessa Jasmine, coltiva a sua volta i propri sogni. Desidera una vita fuori dalle mura del palazzo e vorrebbe utilizzare il proprio titolo nobiliare per aiutare gli abitanti di Agrabah.

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Ma suo padre è troppo protettivo e la sua dama di compagnia Dalia non la perde mai di vista. L’obiettivo del Sultano è trovare un marito adeguato alla figlia. Mentre il suo leale e fidato consigliere, il potente stregone Jafar, è frustrato dall’atteggiamento passivo del Sultano nei confronti del futuro di Agrabah ed escogita un piano per impadronirsi del trono. L’obiettivo del Sultano, quindi, è trovare un marito adeguato alla figlia. Mentre il suo leale e fidato consigliere, il potente stregone Jafar, è frustrato dall’atteggiamento passivo del Sultano nei confronti del futuro di Agrabah ed escogita un piano per impadronirsi del trono.

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* il voto espresso (da 1 a 5 pallini) è dato dalla media ponderata dei maggiori siti cinematografici italiani

A cura di Barbara Piergentili

“IL TRADITORE” LA SCHEDA DEL FILM

“Il Traditore” la scheda del film

“Il Traditore”, scheda del film di Marco Bellocchio con Pierfrancesco Favino leggi la trama e guarda il trailer.

Trailer de “Il traditore” di Marco Bellocchio

“Il Traditore” la scheda del film

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Regia: Marco Bellocchio
Cast: Pierfrancesco Favino, Maria Fernanda Cândido, Fabrizio Ferracane, Luigi Lo Cascio, Fausto Russo Alesi, Giovanni Calcagno, Bruno Cariello, Nicola Calì, Alberto Storti, Vincenzo Pirrotta, Goffredo Bruno, Gabriele Cicirello, Paride Cicirello, Alessio Praticò, Elia Schilton, Pier Giorgio Bellocchio, Antonio Orlando, Rosario Palazzolo, Ada Nisticò, Federica Butera, Filippo Parisi
Genere: drammatico
Durata: 148 minuti
Voto: OOO 1/2 *

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All’inizio degli anni 80 è guerra tra le vecchie famiglie della mafia, Totò Riina e i Corleonesi. In palio c’è il controllo sul traffico di droga. Alla festa di riconciliazione delle ‘famiglie’ Tommaso Buscetta sente il pericolo. Decide di emigrare in Brasile per seguire i suoi traffici e allontanarsi dai Corleonesi che si accaniranno su due dei suoi figli e il fratello rimasti in Sicilia. E lui stesso è braccato anche in Brasile. Ma prima della mafia è la polizia brasiliana ad arrestarlo.

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Ora ci sarà l’estradizione e la morte sicura in Italia. Ma il giudice Giovanni Falcone gli offre un’alternativa: collaborare con la giustizia. Per il codice d’onore della mafia equivale a tradire. Grazie alle sue rivelazioni viene istruito il Maxi-Processo con 475 imputati. Le sentenze decimano la mafia, ma Totò Riina è ancora latitante. La risposta è l’attentato a Falcone e alla sua scorta. Buscetta decide di fare nomi eccellenti della politica, è il testimone in numerosi processi e diventa sempre più popolare.

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* il voto espresso (da 1 a 5 pallini) è dato dalla media ponderata dei maggiori siti cinematografici italiani

A cura di Barbara Piergentili

“DOLOR Y GLORIA” LA SCHEDA DEL FILM

“Addio Fantasmi” di Nadia Terranova leggi la recensione

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“Addio Fantasmi” di Nadia Terranova leggi la recensione

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Titolo: Addio Fantasmi
Autore: Nadia Terranova
Genere: Narrativa
Editore: Einaudi
Pagine: 208
Prezzo: Euro 17,00
Prezzo e-book: Euro 9,99

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Ida è appena sbarcata a Messina, la sua città natale: la madre l’ha richiamata in vista della ristrutturazione dell’appartamento di famiglia, che vuole mettere in vendita. Circondata di nuovo dagli oggetti di sempre, di fronte ai quali deve scegliere cosa tenere e cosa buttare, è costretta a fare i conti con il trauma che l’ha segnata quando era solo una ragazzina.

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Ventitre anni prima suo padre è scomparso. Non è morto: semplicemente una mattina è andato via e non è piú tornato. Sulla mancanza di quel padre si sono imperniati i silenzi feroci con la madre, il senso di un’identità fondata sull’anomalia, persino il rapporto con il marito, salvezza e naufragio insieme.

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Specchiandosi nell’assenza del corpo paterno, Ida è diventata donna nel dominio della paura e nel sospetto verso ogni forma di desiderio. Ma ora che la casa d’infanzia la assedia con i suoi fantasmi, lei deve trovare un modo per spezzare il sortilegio e far uscire il padre di scena.

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“Addio fantasmi” di Nadia Terranova (finalista al Premio Strega 2019) è un romanzo che colpisce al cuore in modo duro e forte. Fare i conti con il passato non è mai facile. Tanto più se come nel caso di Ida è successo qualcosa di drammatico. Il ritorno a casa travolge la protagonista Ida e anche il lettore vive tutte le difficoltà e le paure.

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Dopo la scomparsa del padre la protagonista non ha mai voluto più avere risposte e nè affrontare tutte le sue insicurezze. Appena ha potuto è scappata da Messina per cercare di farsi una ‘nuova vita’, ma anche a Roma Ida ha sempre gli stessi problemi. Nella sua vecchia stanza, che la madre ha lasciato così come era, Ida ricorda la sua giovinezza, la sua amicizia con Sara. Ma tutto è raccontato con tanta malinconia e nella scrittura della Terranova affiora tutto il dolore.

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NadiaTerranova con la sua scrittura semplice, diretta e ricca di quotidianità riesce a coinvolgere in pieno il lettore, che soffre e si sente imprigionato proprio come Ida. E grazie a un colpo di scena molto drammatico, che la Terranova rende ancora più di forte impatto con poche semplici parole. Ida riesce a riprendere in mano la sua vita, a convivere con il passato, che farà sempre male ma ora ha una sua vera collocazione.

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“Addio fantasmi” è veramente un bel romanzo, molto coinvolgente e toccante. La difficoltà nell’accettare la perdita di chi si ama è sempre immensa, ricca di colpe. Il lettore, soffre, piange e si angoscia insieme a Ida. Ma alla fine sicuramente riuscirà a trovare quella pace e consapevolezza che può essere di aiuto. Un bel romanzo può anche questo.

Barbara Piergentili

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“LUX” DI ELEONORA MARANGONI LEGGI LA RECENSIONE

“John Wick 3” la scheda del film

“John Wick 3”, scheda del film di Chad Stahelski con Keanu Reeves leggi la trama e guarda il trailer.

“John Wick 3” la scheda del film

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Regia: Chad Stahelski
Cast: Keanu Reeves, Asia Kate Dillon, Halle Berry, Jason Mantzoukas, Ian McShane, Laurence Fishburne, Anjelica Huston, Mark Dacascos, Lance Reddick, Tiger Hu Chen
Genere: azione
Durata: 130 minuti
Voto: OOO *

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John Wick 3 – Parabellum, il film di Chad Stahelski, vede protagonista Keanu Reeves ancora una volta nei panni di uno dei più temuti, abili e spietati killer apparsi al cinema negli ultimi anni. Questa volta, con una taglia milionaria sulla sua testa, dovrà difendersi da un esercito di assassini pronti ad eliminarlo. Nel cast del film troviamo al fianco di Reeves una misteriosa Halle Berry e, tra gli altri, Anjelica Huston, Laurence Fishburne e Ian McShane.

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John Wick è in fuga per due ragioni: una taglia di 14 milioni di dollari e per aver infranto una delle regole fondamentali, uccidere qualcuno all’interno dell’Hotel Continental. La vittima infatti era un membro della Gran Tavola che aveva posto la taglia su di lui. John avrebbe dovuto già essere stato eliminato, ma il manager dell’Hotel Continental gli concede un’ora di tempo prima di dichiararlo ufficialmente “scomunicato”.

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* il voto espresso (da 1 a 5 pallini) è dato dalla media ponderata dei maggiori siti cinematografici italiani

A cura di Barbara Piergentili

“DOLOR Y GLORIA” LA SCHEDA DEL FILM

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