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Regia: Philippe Godeau
Cast: Omar Sy, Lionel Louis Basse, Fatoumata Diawara, Germaine Acogny, Alibeta
Genere: Commedia
Durata: 103 minuti
Voto: ♥♥♥
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Yao vive nel nord del Senegal ed ha tredici anni. Vuole vuole incontrare a tutti i costi il suo idolo: Seydou Tall, un celebre attore francese invitato a Dakar per presentare il suo nuovo libro. Per realizzare il suo sogno Yao organizza la sua fuga a 387 km da casa. Toccato dal gesto del ragazzo, Seydou decide di riaccompagnarlo a casa attraversando il paese. Tra mille avventure per la strana coppia sarà un rocambolesco ritorno alle radici.
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Philippe Godeau, già produttore del film gioiello “L’ottavo giorno”, passa dietro la macchina da presa e dirige un road movie esistenzialista. La pellicola narra il percorso di crescita interiore di Seydou Tall, star coloured del cinema francese, troppo preso dal proprio lavoro per indagare su di sé. In questo viaggio sarà aiutato da Yao, ragazzo povero fuori ma ricco dentro, che gli insegnerà a ritrovare ciò che davvero è fondamentale nella vita.
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Il film mette a confronto due mentalità diametralmente opposte: quella europea e quella africana. Omar Sy è la perfetta via di mezzo, perché è un ‘bounty’, come lo definisce in una azzeccatissima battuta il suo giovane compagno di viaggio. Esattamente come il celebre snack, infatti, è nero fuori ma bianco dentro. Seydou ha scordato e tradito le sue origini, è vincolato visceralmente al tempo scandito dall’orologio. E’ strozzato da impegni accavallati uno sopra all’altro, che gli impediscono di riflettere sul senso di ciò che accade.
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A liberarlo dalla morsa arriva, salvifico, il giovane Yao. Curioso, determinato e (soprattutto) paziente, osserva l’adulto dimenarsi imprigionato da sé stesso. Come tutti gli attori, appare per ciò che non è, mente alla propria coscienza per autoconvincersi di aver intrapreso la giusta strada nella vita. Dovrà, invece, perdersi nel viaggio (e non solo metaforicamente) per ritrovare la via verso casa. Una casa interiore, che non è piccola come un lussuoso appartamento nel centro di Parigi, ma grande ed accogliente come un coloratissimo e vivace villaggio africano.
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“Il viaggio di Yao” è un film difficilmente catalogabile in un genere cinematografico. Sa essere commedia, ma anche dramma. Conquista non con i dialoghi e nemmeno per la regia, piuttosto di maniera, quindi sostanzialmente anonima. Riesce, però, nell’impresa di concedere allo spettatore un’ora e quaranta di riflessione, dilatando quel tempo “che porta con sé l’eternità”. Una visione del mondo in perfetto stile africano, dunque. Proprio la dilatazione esasperata del tempo, però, lo renderà poco appetibile al pubblico in cerca di ‘pop’.
Francesco G. Balzano
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