21 Agosto 2020

“Favolacce” la recensione del film

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“Favolacce” la recensione del film

“Favolacce” la recensione del film

Disponibile su primevideo.com

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Regia: Damiano e Fabio D’Innocenzo
Cast: Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Gabriel Montesi, Max Malatesta, Ileana D’Ambra, Giulia Melillo, Cristiana Pelligrino, Lino Musella, Justin Korovkin, Tommaso Di Cola, Giulietta Rebeggiani, Max Tortora
Genere: Drammatico
Durata: 98 minuti
Voto: ♥ (su 5)

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La trama

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Nella periferia meridionale di Roma vive una comunità di famiglie che svolgono una vita apparentemente normale e monotona. Nonostante ciò, ogni famiglia nasconde delle piccole verità, spesso poco piacevoli. Bruno, sposato con Dalila, è il padre di due figli dodicenni estremamente educati e istruiti, tanto da avere il massimo in ogni materia a scuola. Ma che in realtà non sono per nulla felici, vittime dei comportamenti rabbiosi proprio dei loro genitori. Amelio vive in un prefabbricato con il suo timido figlio Geremia, convinto di sapere sempre cosa sia meglio per il ragazzo. Vilma è una giovane ragazza che aspetta un figlio dal suo fidanzato. La monotonia porta anche altri ragazzini ad affacciarsi al mondo dell’adolescenza.

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Il nostro giudizio

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Dopo il loro film d’esordio, “La terra dell’abbastanza”, i fratelli D’Innocenzo tornano a raccontare la periferia romana. A guardar bene, però, di periferia capitolina c’è davvero poco e sembra di ritrovarsi, piuttosto, in un non-luogo fatto di villini in stile statunitense. Più
che a Spinaceto o Casal Bruciato, insomma, sembra di essere nella periferia di Los Angeles. Del resto, la sensazione che i registi abbiano guardato più e più volte “Alpha Dog” di Nick Cassavetes è fin troppo evidente.

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Dunque, i fratelli D’Innocenzo danno riferimenti geografici solo sulla carta, perché sul grande schermo, invece, hanno ambizioni molto più grandi e la periferia romana serve solo a dare colore a certi dialoghi sboccati. “Favolacce”, infatti, sguazza nel cattivo gusto con lo stesso divertimento con cui i maiali si tuffano nel fango. Il film, a vedere bene, altro non è se non una collezione di battutacce, situazioni scabrose ed imbarazzanti. Il tutto per descrivere, in maniera del tutto fittizia, un’assurda guerra tra due mondi: quello degli adulti e quello degli adolescenti. Quando esplorano questi due pianeti, però, i registi perdono le coordinate (sempre che le abbiano mai avute) ed esagerano in tutto, anche nella direzione degli attori. I ragazzi sono tutti privi di vitalità (chissà perché) e praticamente muti (quasi meglio così, in molti casi). I grandi, invece, urlano, sbraitano e offrono interpretazioni sopra le righe. Persino Elio Germano, solitamente sempre molto ben centrato nei suoi personaggi, qui sembra la brutta copia del protagonista de “La nostra vita”.

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“Favolacce” la recensione del film

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“Favolacce” è un film che non ha alcuna ragione di esistere. Ha un unico intento: quello di impressionare lo spettatore. Tutto il resto, non conta, non serve, è inutile. Parliamoci chiaro: non è che la pellicola abbia un significato recondito, che necessita di essere spiegato al termine della visione. Niente affatto. La storia è chiarissima, ma non si capisce da dove nasca l’esigenza di raccontarla. Il doversi dare una cifra autoriale giustifica, perché no, il fatto che si parta dalla realtà per, poi, sfociare nell’onirico. Ma l’onirico senza una base solida diventa un esperimento surreale, un esercizio di stile, un narcisistico guardarsi allo specchio.

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Siccome, però, fare Cinema significa anche parlare ad un pubblico, allora è necessario, pur con tutti i guizzi autocompiaciuti, averne rispetto e considerazione. Bisogna, inoltre, sottolineare che i fratelli D’Innocenzo sono ancora alla ricerca di un proprio stile, perché oltre ad una scopiazzatura, piuttosto accurata, di altri cineasti si vede ben poco. “Favolacce” è un film con pretese ma senza basi, dove il cinema in stile Garrone incontra l’indipendentismo statunitense, però senza trovare l’amalgama. E’ un pasticcio con capo e con coda ma senza anima, per giunta con gravi problemi tecnici (l’audio, infatti, è problematico e molti dialoghi sono difficilmente decifrabili). Se è una scelta voluta, come qualcuno sostiene, allora è l’ennesima riprova che gli emergenti D’Innocenzo sono bravi a darsi le arie, ma molto meno a fare Cinema.

Francesco G. Balzano

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